Ognuno a carnevale mette la maschera del martire che preferisce. C’è chi, come Santoro, sceglie quella del fustigatore obbligato all’esilio dalla terra promessa della Rai. E c’è invece chi si ritaglia il ruolo del combattente contro i mulini a vento, del duro e puro à la Giovanna d’Arco che si oppone agli eserciti dei potenti. È la via dello scontro, quella scelta da Saviano e Fazio per giungere alla beatitudine no Cav. D’altronde, la storia è piena di santi guerrieri. Non resta che scegliere i presunti persecutori davanti ai quali immolarsi: Silvio e Marina possono andare bene.
La coppia di Vieni via con me torna sulla scena mediatica a pochi mesi dall’enorme successo di pubblico raccolto nelle quattro puntate andate in onda a novembre e lo fa sul terreno di casa, ovvero a Che tempo che fa. Alla trasmissione di Fazio, Saviano è l’ospite d’onore. Una visita di cortesia tra amici e un manifesto d’intenti: abbiamo intenzione di alzare il livello.
Comincia l’autore di Gomorra, che mette di nuovo nel mirino Marina Berlusconi, numero uno di Mondadori: «Non ci si può professare editore libero - punge Saviano - e poi, quando qualcosa non va, darmi addosso». Accenno neanche troppo velato alle critiche di Marina («Saviano mi fa orrore») dopo la decisione dello scrittore di dedicare la laurea honoris causa in legge alla Boccassini, la pm che indaga il Cavaliere. Dialettica, opinioni diverse? Non solo. A parte il fatto che non si capisce perché un editore non possa criticare un suo autore, c’è chi maligna che Saviano stia disperatamente cercando di farsi cacciare dalla scomoda (ma remunerativa) casa editrice di Segrate. Risolvere il contratto comporterebbe penali importanti, meglio quindi continuare a sparare su Silvio & primogenita per esasperare gli animi, costringere i vertici a licenziarlo e accreditarsi come «epurato» presso la sinistra.
Ed è in quest’ottica che va letta la seconda parte delle dichiarazioni di Saviano a Che tempo che fa: «Marina ha parlato così per paura politica, non ha avuto il coraggio di dire che non sopportava più le mie parole». Nuova aureola, nuova crociata, nuovo sfoggio di muscoli.
Se Saviano si sfoga sulla figlia, negando comunque una sua discesa in campo, Fazio (anche lui in cerca di una scusa per lasciare la Rai con destinazione La7) si occupa mellifluo del padre, annunciando una nuova campagna bellica: «Abbiamo deciso che lo rifaremo, c’è voglia di rifare Vieni via con me». Giusto, un programma di successo merita una seconda edizione. La coppia, però, non si accontenta più e annuncia «l’elenco degli elenchi», la lista di argomenti da trattare: il rogo dei bambini rom, l’elenco delle nipoti di Mubarak, l’elenco di chi ha stretto la mano a Gheddafi e - dulcis in fundo - il caso Ruby e quei party di Arcore in cui si percepisce solo «la solitudine di un nonno».
A modo suo, è stato un gesto coraggioso. Per una volta è caduto il velo di bonomia e ipocrisia che da mesi fa da foglia di fico alle pudenda ideologiche del duo. Già, perché se a novembre Fazio negava il contraddittorio al ministro Maroni con la scusa che «il programma è culturale, non politico», ora gli sarà più difficile dimostrare che parlando del caso Ruby intende diffondere cultura come Quark. La maschera è gettata, l’intento politico è esplicito e finalmente Saviano smetterà di dire cose come «ho dedicato la laurea alla Boccassini perché ha indagato sulla mafia», sostituendole con un più sincero «ho dedicato la laurea alla Boccassini perché vuole mandare in galera il Cavaliere».
Meno coraggioso, invece, ricorrere al trucco più vecchio d’Italia per far parlare di sé, incassare denari e uscirne comunque come disinteressati eroi della resistenza civile: attaccare i Berlusconi e, già che ci siamo, pure la «macchina del fango» dei giornali di centrodestra che non sottoscrivono la loro agiografia e pubblicano «narco-notizie». Evidentemente, a Fazio e Saviano piace vincere facile.
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