Ma Saviano sa dire soltanto delle banalità?

La performance tv ha ammosciato la genialità. E così le sue "dieci cose per cui vale la pena vivere" sono un noioso déjà vu. Letta la lista e parafrasando Cuore nasce spontaneo un "chissenefrega"

Ma Saviano sa dire 
soltanto delle banalità?

La banalità, insegna la Storia, è propria sia del Bene che del Male. In qualsiasi cosa, sia essa la più bella sia essa la peggiore, ci troverai sempre qualcosa di ordinario, quotidiano. Banale. Come nelle persone. Anche il genio, come l’imbecille, non è esente dalla mediocrità e dall’ovvio.

Anche Roberto Saviano, che a modo suo è un genio, per coraggio, per forza d’animo, per la capacità di toccare i sentimenti della gente, a volte è costretto a concedere la propria dose di ordinarietà. Piacere a tutti è già difficile - anche se lui con Gomorra e Vieni via con me ci è quasi riuscito - ma piacere sempre a tutti, è impossibile. Anche per un guru.

Sull’onda del successo del suo libro-culto e della sua trasmissione-cult, Roberto Saviano ci ha riprovato, riproponendo i suoi monologhi televisivi sulla carta stampata, pubblicando per Feltrinelli, smarcandosi momentaneamente da Mondadori, la versione cartacea degli interventi a Vieni via con me. Programma che lo ha reso ancora più popolare di quanto non fosse, ma anche meno sorprendente di quanto dovrebbe. Lavorare per tre mesi accanto a Fabio Fazio lo ha ammosciato, rendendolo stucchevolmente prevedibile, insopportabilmente mellifluo, irreparabilmente banale. Così come Fazio è incapace anche solo una volta di stupirti invitando uno scrittore che non ti aspetti (magari non un intellettuale di sinistra, magari non un autore con un libro in uscita, magari non un artista politicamente corretto), allo stesso modo Saviano finita l’onda lunga di Gomorra appare ormai sprovvisto del colpo di teatro, della provocazione inaspettata, della presa di posizione scorretta. Sulla politica, la società, Berlusconi, l’Italia, sai già mezz’ora prima che finisca la frase dove andrà a parare. E non solo per i tempi lunghi della recitazione.

Ieri, anticipando il suo nuovo libro su Repubblica - un quotidiano inquietantemente abituato a pensare per decaloghi: le dieci domande a Berlusconi, le dieci bugie del premier, i dieci punti oscuri del «caso Ruby» - ha proposto il proprio personale elenco delle «dieci cose per cui vale la pena vivere». Al netto del doveroso rispetto dovuto a un ragazzo sotto scorta per il quale anche andare a magiare il gelato con la propria ragazza è comprensibilmente qualcosa di straordinario, l’escamotage dell’elenco rischia l’effetto déjà vu nel migliore dei casi, e un soprassalto di noia nel peggiore. Sei Saviano, hai a disposizione la prima serata Rai e la prima pagina di Repubblica: come direbbe quel tale, si può osare di più. Un mio amico, per inciso neppure berlusconiano, stamattina dopo aver letto l’elenco di Saviano mi ha mandato un sms con scritto: «Ormai potrebbe fare l’autore dei testi di Cetto Laqualunque».

Che a me, peraltro, non fa neppure ridere.

A Roberto Saviano forse non è giusto chiedere il genio e l’ingegno di Alberto Arbasino, che proprio su Repubblica recentemente ha concesso un’ineguagliabile lezione sulla fuggevole arte di compilare elenchi per classificare mode e tendenze di oggi; ma almeno uno sforzo per provare ad andare al di là della banalità della lista della spesa, quello sì. In fondo, è attualmente il nostro più autorevole candidato sia al Nobel per la Letteratura che a quello per la Pace.
Comunque, con oltre vent’anni di ritardo rispetto alla leggendaria rubrica di Cuore ideata&diretta da Michele Serra, solo per caso autore anche della trasmissione Vieni via con me, nella quale ogni settimana si elencavano «Le cinque cose per cui vale la pena vivere» (in testa all’inizio c’erano la fine di Craxi e della Dc, poi iniziarono a comparire atti di una volgarità irriferibile), Roberto Saviano ci ha proposto un catalogo di sconcertante banalità: dalla «mozzarella di bufala aversana» ad «aprire il computer dopo una giornata in cui hanno raccolto firme contro di te e trovare una mail di tuo fratello che dice: “Sono fiero di te”». In calce al quale, come spesso accadeva in coda alle rubriche di Cuore, ci starebbe bene anche un «Chissenefrega».

Per il resto, banalità per banalità, ecco l’elenco delle «dieci cose per le quali vale la pena vivere» realizzato al termine di un laborioso sondaggio all’interno della redazione «Macchina del fango» del Giornale.


1) Il Tiramisù
2) Gimme Shelter suonata dai Rolling Stones
3) Scoprire che il sito di Farefuturo finalmente ha chiuso
4) L’opera omnia di Céline (naturalmente ad eccezione di Bagatelle per un massacro)
5) Il gol di Maradona ai Mondiali del Mexico, ma non quello del due a zero contro l’Inghilterra, ma il primo, quello di mano
6) Peaches en Regalia di Frank Zappa
7) Sapere che prima o poi Gianfranco Fini si dimetterà e il suo partito prenderà al massimo il 2 per cento
8) I soldi
9) La convinzione che tanto, magari tra vent’anni, qualcuno che oggi scrive per Repubblica finirà intercettato
10) Dopo una giornata in cui sul tuo giornale hai gettato fango contro tutti, aprire il computer e trovare una mail di tuo fratello che dice: «Ho letto Saviano. Hai ragione: è un po’ banale...».

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