Savoia, da Napolitano aspettiamo un bel gesto

Caro Granzotto, da Torino a Cascais. Come sono diversi gli stili di vita di questi due antichi Paesi dell’Ue: Italia e Portogallo. Mentre davanti all’Oceano Atlantico qualche giorno fa i duchi d’Aosta Amedeo e Silvia di Savoia con il capo della Casa Reale portoghese scoprivano una lapide sulla villa che ospitò re Umberto II dal 1961 al 1982, lapide fortemente voluta dalla principessa Maria Gabriella di Savoia, sotto gli auspici del movimento culturale «Rinnovamento nella tradizione», a Torino gli anarchici pensavano bene di imbrattare il basamento del monumento a re Vittorio Emanuele II con la frase «Morte al re» in riferimento all'anniversario del regicidio di Monza. Sull’Atlantico rispetto per la storia e per la memoria di un personaggio storico che con dignità sopportò in quella terra decenni di esilio; sotto la Mole livore ideologico e lettura distorta della storia patria nonostante l’impegno profuso da due presidenti della Repubblica, Ciampi e Napolitano. Perché una parte di italiani - si spera, una minoranza - non vuole leggere la storia dei vinti insieme a quella dei vincitori con maggiore obiettività e mettere nel cassetto le contrapposizioni ideologiche dopo oltre 100 anni dall’assassinio politico di re Umberto I? Auspico che in vista del 150° anniversario dell’Unità nazionale, l’attuale capo dello Stato, Giorgio Napolitano, proprio per la sua veste, esorti Governo e Parlamento a restituire all’Italia le salme dei sovrani, che sono consustanziali alla sua storia profonda.


Non darei troppa importanza alla bravata di qualche fesso di sicuro appartenente alla tribù dei centri sociali, caro Cardinali. Il 29 luglio è una delle tante date dello scadenziario anarchico e c'è sempre qualche fesso, appunto, che si picca di celebrarla senza star a pensare che dopo più di mezzo secolo di repubblica la scritta «morte al re» fa ridere. Quanti, fra coloro che l’hanno letta, sono stati in grado di immediatamente ricollegarla a Gaetano Bresci, al regicidio? È vero, però, che siamo ancora molto lontani da una serena rilettura della storia del nostro Paese e, in particolare, del ruolo di Casa Savoia. Non giova certamente la rappresentazione macchiettistica che della stirpe offrono i principi Vittorio Emanuele e Emanuele Filiberto i quali, offrendo con le loro gesta ghiotti bocconi alla cronaca (nera, sovente) e ai rotocalchi finiscono per mettere in ombra il discreto ma tenace impegno della principessa Maria Gabriella o dei Duchi di Savoia per il riscatto d’una casata che per un millennio è stata parte stessa della storia degli italiani. Non si chiede di sicuro che alla damnatio memoriae inflitta, con accanimento, alla Casa Savoia si ripari, come accadeva nell’antica Roma, con la consecratio, questo no. Ma è tempo di restituirle l’immagine che le spetta, comprensiva delle colpe, certo, ma anche dei non pochi alti meriti.

A questo fine, un gesto come quello suggerito dal professor Aldo Mola servirebbe, nei centocinquant’anni dell’Unità, a riallacciare un legame culturale e storico che dal ’45 in poi è stato pervicacemente negato, ma che, appartenendo al nostro epos, essendo parte essenziale di quella che si definisce identità nazionale, è velleitario voler rimuovere (e ridicolo voler riscrivere).

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