Alla fine di luglio Romano Prodi ha salvato, con il pasticciato accordo su pensioni e welfare, il governo sacrificando nel contempo uno dei pochi punti di forza che ancora gli restavano: la funzione della Cgil di raccordo tra aree moderata ed estremistica del centrosinistra. Questo è il risultato che si è ottenuto costringendo Guglielmo Epifani a rimangiarsi quello che aveva detto nei mesi precedenti - in parte sulla legge Maroni e in misura ancora maggiore sui provvedimenti sociali (la legge Biagi esce sostanzialmente integra dagli accordi) - e a firmare quella che lo stesso segretario della Cgil ha chiamato una porcheriola.
Epifani nelle settimane successive ha cercato di giustificare la sua firma e salvare quel che poteva, e ora farà approvare i contenuti dell'accordo nella consultazione organizzata con Cisl e Uil, rivendicando alcuni provvedimenti favorevoli a giovani e settori più disagiati, e soprattutto affermando che non si poteva ottenere più di così. Un sostegno decisivo al segretario della Cgil è venuto dai settori della sua organizzazione più legati al pubblico impiego: l'autorevole membro della segreteria nazionale Paolo Nerozzi e il capo del sindacato Funzione pubblica della Cgil Carlo Podda. Questi dirigenti cigiellini, pur schierati con il settore estremista del centrosinistra guidato da Fabio Mussi, hanno anche per ragioni «professionali» (cioè per difendere meglio i loro organizzati) una profonda vocazione governativa. Il tipo di difesa della «linea» di Epifani, però, scelto dai sindacalisti legati all'amministrazione pubblica, provoca pericolosi sbandamenti nella confederazione. Da una parte Nerozzi invoca l'unità sindacale e riconosce alla Cisl la leadership del movimento oggi, togliendo ruolo a Epifani. Dall'altra Podda incomincia a polemizzare con i lavoratori del settore privato, dicendo che i dipendenti pubblici non ricevono fuoribusta, consolidando così un processo che il capo dei metalmeccanici cigiellini, Gianni Rinaldini, ha definito di balcanizzazione della confederazione. Più in generale, con questo andazzo, si penalizzano i già tartassati settori produttivi del lavoro.
Queste tendenze in atto sono dirompenti nel mondo sindacale italiano e nei suoi rapporti con la politica: la Cgil è stata l'unica agenzia collegata alla società, e in qualche modo stabilizzante, della sinistra del dopo Mani pulite. Ha svolto questo compito con spirito ultraconservatore e con puntate di follia massimalista con l'ultimo Sergio Cofferati, ma era la realtà più solida che restava alla sinistra su cui appoggiarsi: a parte, forse, gli amministratori locali. Rinculando e sfarinandosi, la Cgil apre la via a un assestamento a sinistra dagli esiti non prevedibili, e che sarà molto influenzato anche dagli scenari sindacali francese e tedesco.
Lodovico Festa
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