La resistenza dei miliziani delle Corti islamiche e dei volontari stranieri è finita, l'ultima roccaforte nel sud del paese, la ex base navale di Ras Camboni, dove erano asserragliate centinaia di combattenti, è caduta dopo una pesante offensiva sostenuta da artiglieria e aviogetti. Continua il rastrellamento di gruppi di miliziani nella regione al confine con il Kenya, nelle foreste di Balde e nella zona di Khuda. Secondo il comandante delle forze del governo di transizione (Tfg), Abdulrasq Afgelbub, ormai «l'intero paese è sotto il nostro controllo».
Ma anche se la guerra si avvia a conclusione la soluzione della crisi somala è tutt'altro che scontata e se non ci si spaventa per i proclami minacciosi di Al Qaida, si è però consci di cosa è accaduto in Afghanistan e in Irak dopo un successo militare travolgente e veloce. Forse troppo. Anche in Somalia moltissimi armati delle Corte islamiche sono riusciti a scappare, via terra o via mare, o semplicemente hanno solo momentaneamente deposto le armi, potendo contare su un forte sostegno, sia interno che internazionale. Lo dimostrano le dimostrazioni e gli scontri verificatisi nella cittadina di Beledweyne, 300 km dalla capitale, dove la popolazione ha protestato chiedendo il rilascio di un dirigente delle Corti Islamiche arrestato dai soldati etiopici.
Né il Tfg né i soldati etiopici controllano davvero il paese. E quanto allo sbandierato piano di disarmo forzato che avrebbe dovuto essere avviato a Mogadiscio già giovedì, dopo le proteste e gli scontri, si è deciso di rinviare l'operazione a data da destinarsi ed è stato costituito un comitato di dieci membri, guidato Yusuf Mire Serare, che discuterà con i rappresentanti dei clan e della popolazione come e quando procedere. I clan più radicati nella capitale, come quello degli Hawige, non vogliono disarmare a meno che non disarmino anche gli altri mentre i civili non vogliono consegnare le armi per timore delle bande armate.
Diventa quindi indispensabile che quel vuoto di potere e l'incapacità di governare che hanno provocato la crisi e la caduta del Tfg sia colmato rapidamente. I 12.000 soldati di Addis Abeba rappresentano solo un palliativo di breve durata, ma ci si augura che non lascino la Somalia prima che la comunità internazionale sia riuscita a organizzare e a dispiegare una consistente forza di pace. E su questo fronte i progressi sono modesti. Dopo discussioni e riunioni dove tutti convengono che è importante fare in fretta, solo l'Uganda si è fatto avanti offrendo un contingente di 1.200 soldati per la futuribile forza di pace dell'Unione africana, truppe che potrebbero entrare in azione solo alla fine del mese. Gli 8.000 soldati della forza di pace africana sono comunque numericamente insufficienti.
L'Unione europea e gli Usa hanno promesso aiuto logistico, umanitario e hanno offerto rispettivamente 47 milioni di euro e 40 milioni di dollari, mentre la Francia ha chiesto un allentamento dell'embargo sulle forniture d'armi alla Somalia, in vigore dal 1992, per consentire di riequipaggiare le forze governative.
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