Silvio Scaglia è un ingegnere novarese dall’aspetto mite e un po’ dimesso che però ha le seguenti misure: 1,2-13-962. Nel senso che la sua fortuna personale stimata in circa 1,2 miliardi di dollari (al cambio attuale circa 900 milioni di euro) lo mette al 13esimo posto in Italia e al 962esimo nel mondo nelle classifiche dei super ricchi stilate ogni anno dal mensile americano Forbes. Ingegnere, 52 anni, sposato con Monica, due figlie e un figlio, è uno degli enfant prodige della new economy italiana, uno dei pochissimi che agli inizi degli anni Duemila sono riusciti non solo a fare tanti soldi, ma anche a non perderli allo scoppio della bolla.
Ha iniziato la sua carriera nelle grandi boutique della consulenza manageriale, McKinsey e Bain, prima di arrivare alla Omnitel, il secondo gestore di telefonia mobile concorrente di Telecom-Tim. Qui ha compiuto passi da gigante in tempi brevissimi, tanto da essere soprannominato «il mago» perché ha fatto passare il numero degli abbonati da poche centinaia di migliaia a 3 milioni. È diventato amministratore delegato e ha permesso alla società di chiudere bilanci eccellenti, stando sempre molto attento a legare ai risultati aziendali i propri bonus.
Briciole, comunque, rispetto a quello che ha guadagnato dopo, quando c’è stato l’incontro con Francesco Micheli che ha segnato la svolta della sua vita. Micheli è uno dei più abili finanziari italiani e ha capito prima degli altri che il ménage à trois fra internet, telecomunicazioni e borsa avrebbe potuto fruttare anche da noi tanti milioni. Lui e Scaglia si sono messi assieme e nel 1999 hanno fondato eBiscom, società con la missione di portare la banda larga nelle principali città italiane, con Micheli presidente e Scaglia amministratore delegato. Dettaglio da non trascurare: siccome per stendere chilometri di fibra (attività remunerativa) bisognava scavare chilometri di buche nei centri urbani (attività costosa), per gestire il primo business è stata creata Fastweb (a maggioranza eBiscom), il secondo invece è stato affidato a Metroweb (a maggioranza Aem, l’azienda elettrica milanese, controllata dal Comune). Insomma, gli utili privati, i costi pubblici: ricetta collaudata in Italia.
Nella primavera del 2000 eBiscom è stata quotata al Nuovo mercato di Piazza Affari. Prezzo di collocamento: 160 euro per azione. A quel livello, la capitalizzazione complessiva della società era di 1,3 miliardi di euro: un affare non da poco per Micheli e Scaglia, che ci avevano investito sì e no 20 milioni. Il presidente-fondatore ha venduto una buona parte del suo pacchetto al momento della quotazione, realizzando una plusvalenza storica. E ha fatto bene, ha dimostrato ancora una volta di avere fiuto. Perché, salita nei giorni immediatamente successivi al debutto per la gioia di migliaia di investitori, l’azione eBiscom ha incominciato a scendere precipitosamente, assieme a tutti i mercati mondiali. Nel giro di poche settimane il titolo è crollato attorno ai 20 euro, bruciando i sogni di ricchezza di chi non era uscito per tempo. Si può dire che la sua quotazione abbia coinciso con lo scoppio della bolla speculativa della cosiddetta net economy.
E Scaglia? Anche lui ha realizzato un ottimo guadagno alla quotazione cedendo una quota del suo pacchetto, ma la maggior parte l’ha tenuta. Nel 2004 eBiscom è stata fusa con Fastweb e, quasi contestualmente, Micheli ha lasciato la presidenza a Scaglia stesso, pur conservando un partecipazione azionaria e facendo salire suo figlio Carlo alla vice presidenza. Perché questa uscita? In un’intervista a Panorama del 24 aprile, al giornalista che gli domandava se ci fosse stata una rottura, ha risposto così: «Abbiamo semplicemente avuto forti confronti dialettici su importanti decisioni aziendali». Enigmatico. Nei mesi successivi la famiglia Micheli ha venduto sul mercato tutta la sua partecipazione in Fastweb. Agli amici, Micheli diceva di essere certo che invece Scaglia non sarebbe mai riuscito a trovare un acquirente per la sua quota.
Sbagliava. Nel 2007 Massimo Armanini della Deutsche Bank gli ha portato Swisscom che ha comprato tutto. A Scaglia è andato qualcosa di molto vicino al miliardo di euro. Una fortuna. Per amministrarla ha assunto lo stesso Armanini con l’incarico di gestore della sua ricchezza. L’ha conferita a una holding di diritto svizzero in maniera perfettamente legale, pagando tasse per circa 120 milioni di euro, ha lasciato l’Italia definendola «un Paese di...» e si è trasferito a Londra, a Piccadilly Circus, dove ha aperto Babelgum, una web tv interattiva. Un giocattolo che gli costa qualche milione di euro. Può permetterselo. Così come può permettersi la villa che si è comprato a Cap Ferrat accanto a quella di Tina Turner.
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