La scalata di Lucia, dal ’68 al palco di Prodi

Sulle barricate negli anni della contestazione, poi al «manifesto» fino alla presidenza Rai. Nel ’96 celebrò in piazza l’Ulivo vittorioso

Stefano Filippi

I più cattivi con Nostra signora delle Dimissioni sibilano che il suo motto è: va’ dove tira il vento. Gli amici invece ne scorrono ammirati il curriculum pieno di «ex»: ex manifesto, ex Repubblica, ex Corriere della Sera, ex Tg3, ex ApBiscom, ex presidenza Rai, più le numerose collaborazioni, i libri, le lunghe permanenze all’estero, le amicizie importanti e trasversali.
Davanti a Lucia Annunziata il mondo si divide, o con lei o contro di lei. E lei coltiva con cura questa immagine granitica e autoritaria, di donna con gli attributi, l’unica giornalista italiana capace di fare interviste a muso duro (l’ha ripetuto anche ieri) e padroneggiare la politica interna come quella estera. Una militante, una che non deve chiedere mai. Chiedere conferma ai redattori del Tg3, che se la trovarono come direttore nel 1996 appena Romano Prodi arrivò a Palazzo Chigi e la costrinsero a fuggire dopo due anni.
La Annunziata è una vedova Rai: per lei quelle di Viale Mazzini sono porte girevoli. Una predestinata. Del resto, bastava guardare ieri con quanto disappunto faceva a Berlusconi domande sulla Rai mormorando «io ne so qualcosa...». Enzo Siciliano la chiamava «la maga di Sarno». Narra la leggenda che a otto mesi, mentre la mamma la imboccava nel «casello di ferrovieri meridionali» dove viveva, un fulmine centrò il cucchiaino tramortendo la bimba ma preannunciando il suo fulgido destino. E aggiunge, la saga, che la piccola Lucy abbia imparato a leggere da sola. Il genio non poteva restare confinato a Sarno, patria anche di Giovanni Amendola e Michele Santoro. Così la ragazza fece il liceo a Salerno, l’università a Napoli, e poi sbarcò a Roma, al manifesto, alla scuola di Luigi Pintor e Rossana Rossanda.
Nella preistoria della tv, Lucia s’ingegna tra stampa e politica. Sale sulle barricate del ’68 e del ’77, gli amici di quegli anni sono Paolo Mieli, Gad Lerner, Gianni Riotta, Goffredo Fofi, Famiano Crucianelli e Luigi Manconi, suo compagno per qualche anno.
Nel 1979 scatta la Grande Scalata alla Professione. Parte per New York, corrispondente del quotidiano comunista: l’America raccontata da una comunista, bella sfida. Dopo tre anni si sposta per Repubblica tra i guerriglieri dell’America Centrale dove conosce Dan Williams, inviato del Washington Post che avrebbe sposato con una grande festa in un esclusivo locale della Grande Mela con 250 invitati.
Williams è l’unico uomo capace di cambiare i progetti di Lucia. Nel 1988 il WP lo spedisce in Medioriente e lei convince Eugenio Scalfari a dirottarla su Gerusalemme; cinque anni dopo Williams, corrispondente per l’Europa meridionale, si sposta a Roma e la moglie lo segue, stavolta grazie all’«insostituibile amico» Mieli diventato direttore del Corriere. L’approdo in via Solferino consacra la Annunziata: a poco più di 40 anni, la miracolata di Sarno è una primadonna del giornalismo italico.
La politica ribolle: Berlusconi in campo, la destra sdoganata, la sinistra sfilacciata e riaggregata. Lucy allaccia solidi rapporti trasversali, come quello con Gianfranco Fini di cui diventa l’intervistatrice preferita. La sua elegante casa nel Ghetto di Roma diventa teatro di mondane serate bipartisan. Nel ’95 arriva il primo contratto con la Rai di Letizia Moratti per Linea Tre, un talk show politico affrontato con una squadra di collaboratori presi dal manifesto, dal Sabato, dall’Indipendente e dalla Voce di Montanelli.
Ma la predestinazione si compie nella primavera del 1996: Prodi vince le elezioni e la Annunziata, come una groupie, sale sul palco di piazza Santi Apostoli per festeggiare il successo dell’Ulivo. Tre mesi dopo è direttrice del Tg3, tuttavia regge i pessimi rapporti con la redazione solo due anni. Rifiuta la sede di Pechino, apre l’agenzia di stampa ApBiscom (ora ApCom), dirige la rivista dell’Aspen Institute Italia (dove tra gli altri siedono Prodi, Letta, Tremonti, Eco). Il destino Rai si riaffaccia quando Mieli rifiuta la presidenza: è l’ora di Lucy, che pure in un anno e mezzo al settimo piano di viale Mazzini non muove un dito per fare rientrare i vari Biagi, Santoro e Luttazzi.
Ora, oltre alla «Mezz’ora» su Raitre, risponde ai lettori della Stampa e ha scritto un saggio, «La sinistra, l’America e la guerra» (Mondadori).

Per i sorridenti amici del Foglio è un «capolavoro sfiorato»: «Se solo fosse letterariamente più accattivante, se solo contenesse meno errori, se solo proponesse tesi più originali e se fosse ancora più breve di quello che è, be’, l’agile libretto potrebbe essere un buon editoriale».

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