Una volta alla sera andava in via Veneto. Adesso va in Tv. Pare gli piaccia un sacco: esce dal salottino, lascia la canasta, dimentica per un attimo il cognac invecchiato in barrique, e oplà eccolo lì, bello incipriato, sotto i riflettori, felice come un bimbo che ha appena scoperto la trottola. Lunedì sera, per esempio, Eugenio Scalfari era a La7 con Lilli Gruber: aveva la barba bianca ben curata, le gote rosse, lo sguardo un po’ sperduto frale labbra a canotto della sua intervistatrice. A tratti guardava nel vuoto, a tratti balbettava. Ogni frase sembrava molto meditata: come se la dovesse tirare giù dall’Olimpo degli illuministi, come se fosse ispirata in diretta da Diderot e D’Alambert. E invece, per lo più, ogni frase risultava un distillato di banali sciocchezze. Del tipo: «Le leggi si approvano in Parlamento», «uno che fa comizi si espone», «il libero convincimento è libero», «il sindaco fa il sindaco», «nel deserto non ci sono ingorghi». Mancava solo che dicesse che l’acqua per essere calda non può essere fredda e poi aveva fatto l’en plein della meditazione filosofica in stile casalinga di Voghera.
Questo oracolo della banalità, tolto dalla sua naftalina miliardaria, faceva quasi tenerezza: cercava conferme, si sforzava di mostrarsi preparato («Ho letto tutto il disegno di legge») e citava i suoi sterminati articoli, essendo rimasto ormai uno dei pochi che riesce a leggerli tutti interi. L’avevano chiamato a La7 per fare l’anti - Giuliano Ferrara, ma mentre quest’ultimo da Radio Londra diceva delle cose, nonno Eugenio non riusciva a far altro che travasare sciocchezze e bile. Quando, per esempio, la Gruber gli ha chiesto le ragioni per cui ha rifiutato il dibattito con il direttore del Foglio, ha risposto secco: «Perché mi piace combattere con i miei pari e non ritengo Ferrara un mio pari». Si capisce: Scalfari è abituato a parlare con Io, al massimo - se proprio deve - si degna di aprire una querelle con Dio. Oltre non s’abbassa.
Liberté sì, fraternité insomma, con l’egalité però non esageriamo. Che ci volete fare? La puntata è da rivedere alla moviola: la Gruber prova a prenderlo per mano come si fa con il nonno un po’ svampito che piomba in salotto con la patta dei pantaloni aperta. Lo interrompe, lo chiosa, cambia discorso per salvarlo. Si rende conto che la sfida con Ferrara si sta tramutando in autogol. Tutto inutile. Su Saviano Scalfari si intorta, su Fini non sa cosa dire, all’improvviso scopre con scandalo che «i partiti dialogano anche fuori dal Parlamento». Pensa un po’ a che cosa portano anni di acuta analisi politica. «Lucido osservatore», lo definisce con coraggio la Gruber. E sarebbe pure lucidissimo, in effetti, non fosse per tutta quella cipria sulla pelata...
Il clou arriva alle 21.08. Lilli Gruber pone una domanda secca: «Lei ha proposto una tassazione straordinaria sulle grandi ricchezze. Che cosa intende per grandi ricchezze?». Nonno Eugenio ci mette tre minuti per rispondere, perdendosi nel suo noto labirinto (mentale) fra entrate tributarie, banche centrali, tagli lineari, encefalogrammi piatti, ceti medi e medio alti. Alla fine, esattamente alle 21.11, dopo un delirio durato tre minuti, sette parentesi, dodici parafrasi, quattro incidentali e nove subordinate, mentre già scorrono i titoli di coda, il Fondatore finalmente pesca in un angolo della sua mente l’illuminazione: «La tassa sulle grandi ricchezze», proclama, «devono pagarla i grandi ricchi, cioè tutti quelli che guadagnano più di 40mila euro l’anno».
40mila euro l’anno? Grandi ricchi? Lilli Gruber sbianca, non sa più dove guardare, cerca di metterci una pezza. 40mila euro l'anno sono all'incirca 1700 euro al mese. Può essere definito «grande ricco» uno che guadagna 1700 euro al mese? Nonno Eugenio ormai non risponde. È perduto, pronuncia parole in libertà. «La tassa di scopo la devono pagare solo i grandi ricchi», ribadisce. «La tassa di scopo la deve pagare un’ampia massa di contribuenti», corregge subito dopo. Allora capiamoci: solo i grandi ricchi o una massa di contribuenti? Sguardo perso nel vuoto. Boh. E allora «perché non tassiamo le rendite finanziarie?», s’illumina. Ma sì, una tassa vale l’altra: basta svuotare le tasche alla gente. E poi avanti con il mantra di Prodi, ma quant’era buono Prodi, ma com’era bravo Prodi, come quei vecchi che alla casa di riposo che continuano a recitare la formazione del Bologna che tremare il mondo fa. «Ma non gioca più Angelo Schiavio?» No, caro nonno Eugenio: Schiavio è fuori squadra. E tu fuori quadra. Comunque non ti preoccupare: se vuoi ti regaliamo la figurina. E anche una bella tassa di scopo, magari anche di scopone scientifico: così ti ci diverti con gli amici della canasta. L’importante è che eviti queste figuracce catodiche e te ne stai lì tranquillo in salotto a dialogare con Io, spiegandogli cose importanti: il sindaco deve fare il sindaco, un deserto è meno affollato della metropolitana all’ora di punta, etc. Sarà un dibattito appassionante, vedrai.
Più di quello con Ferrara. Magari Io crederà pure a quello che dici. E non ti chiederà come si fa a diventare grandi ricchi con 1700 euro al mese senza nemmeno incassare, come hai fatto tu, i miliardi dall’Ingegner De Benedetti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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