Scalfari va in tv per fare il solito sermone

Scalfari va in tv per fare il solito sermone

Mario Sechi

da Roma

Che tempo che fa? A giudicare dallo sguardo di Eugenio Scalfari mentre risponde alle domande di Fabio Fazio, il tempo è variabile, il cielo pieno di cumulo-nembi. Interrogato sui temi fondamentali del nostro tempo, Scalfari dispensa la sua lezione. Parla di atti «che sono l’anticamera di un reato» (e al Botteghino gli sguardi spiritati si sprecano), poi però corregge subito il tiro e risfodera il leitmotiv per cui si ricorda che in passato è stato un grande giornalista: il tema della diversità della sinistra e la sua intervista a Enrico Berlinguer del 1981. Sono trascorsi venticinque anni e Scalfari sostiene ancora che il popolo della sinistra «non è superiore, ma diverso» perché «è gente austera per necessità, che paga le tasse». La visione è scalfarianamente manichea e quindi va da sé che a destra non gliene importa niente dei politici coinvolti negli scandali finanziari. Snocciolando l’elenco dei personaggi sotto inchiesta gli scappa un Tajani di troppo, e si vede che quei venticinque anni sono trascorsi tutti, ma in fondo «ai vecchi si perdonano questi errori». Barbapapà affronta ogni problema dello scibile con l’aria di Mosè che scolpisce i comandamenti sulla pietra. Chiama l’applauso, intima alla Chiesa di occuparsi della questione morale e giura di non avere mai sentito un vescovo ricordare ai cattolici «di non mettere le mani nelle casse dello Stato», dà un pizzicotto al presidente della Camera Casini che, poverino, «non vuole sentir parlare della diversità» e ovviamente sbaglia. Strabuzza gli occhi di fronte al conduttore che confessa di leggere il Foglio («ah, lei lo legge?») poi precisa di leggerlo pure lui perché il grande giornalista deve «leggere tutto per ragioni professionali». Anche la stampa che fa «la mattanza nei confronti dei Ds». Raccomanda alla sinistra «di essere molto esperta dei soldi» (grazie, ci avevano già pensato da tempo), auspica modestamente la correzione del capitalismo e alza altissimo il suo lamento perché qualcuno - nonostante usi le parole e dunque pare anche l’intelletto - in fondo osa non considerarlo un intellettuale.

Solo di fronte al mistero del presepe e della Natività confessa di non avere una risposta, ma non disperiamo di avere l’illuminazione finale. D’altronde, il principe Carlo Caracciolo in un’intervista all’Espresso disse del Fondatore: «Eugenio porta la testa come il Santissimo in processione». Amen.

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