«Non esistono obblighi scritti e prassi normative che prevedono quali siano le commemorazioni da effettuare ». Così parlò Davide Boni, presidente leghista del consiglio regionale della Lombardia, subito dopo aver pronunciato il suo «Non ci sto» alla commemorazione in aula di Oscar Luigi Scalfaro, l’ex presidente della Repubblica morto a 93 anni il 29 gennaio scorso.
Un gesto cocciuto e formalista che forse rende onore all’avversario politico più di un finto minuto di silenzio lasciato trascorrere come se Scalfaro fosse stato un personaggio qualunque. Un presidente qualunque.
Così non è e non è mai stato. Oscar Luigi Scalfaro, che oggi sarà commemorato solennemente in Senato alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, è un uomo che ha diviso il Paese in due, tra sostenitori e detrattori, berlusconiani e ribaltonisti, colpevolisti e innocentisti, come nei grandi delitti e nelle svolte decisive della vita nazionale.
E ieri nei palazzi della Regione Lombardia se ne è avuta l’ennesima dimostrazione, con gli esponenti della Lega e mezzo Pdl che hanno lasciato i banchi quando, dopo il rifiuto del leghista Boni, il minuto di silenzio è stato deciso lo stesso, rotto poi da alti lai dell’opposizione sulla «pagina vergognosa » per il Pirellone. Qualcosa del genere era accaduto nell’aula del Consiglio regionale del Piemonte, che ad Oscar Luigi Scalfaro da Novara ha dato i natali.
Repliche in tono minore del primo febbraio alla Camera, quando l’emiciclo si è ritrovato improvvisamente ( semi)deserto di fronte alla prospettiva di rendere onore a «uno dei principali protagonisti della vita politica e istituzionale del Paese, un esempio di coerenza morale e di integrità, un punto di riferimento in politica non solo per i cattolici» (il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dixit ). I deputati della Lega e del Popolo della libertà, con qualche sparuta eccezione, si sono rifiutati di partecipare a una cerimonia che per loro sarebbe stata un trionfo di revisionismo e ipocrisia.
Una faglia scorre sotto il settennato di Oscar Luigi Scalfaro e separa due diverse visioni della storia del Quirinale, del ministero dell’Interno, dei servizi segreti, della lotta alla mafia, del Paese. Ci sono coloro che lo considerano un eroe dell’antiberlusconismo, campione di battaglie combattute con la Carta in un mano e il Rosario nell’altra. E moltissimi altri che proprio per questo lo ritengono il re del ribaltone, il presidente pronto a ogni manovra pur di disarcionare il Cavaliere e lanciarlo il più lontano possibile da Palazzo Chigi e dintorni.
Certo, Scalfaro è stato molto altro prima, quando era un democristiano anticomunista alla Mario Scelba, un cattolico deciso contro il divorzio e l’aborto,in guerra con le scollature. E anche dopo, ai tempi della tessera del Pd e della Costituzione idolatrata. Ma la memoria collettiva si è squarciata in quel fatale 1994, con l’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi, il governo caduto, il ritorno alle Camere e il voto negati, i calendari dell’esecutivo e delle alleanze sconvolti.
Tra i principali protagonisti delle trame politiche diallora c’era Umberto Bossi,che ha raccontato più volte di essere stato persuaso proprio dal Presidente ad abbandonare Berlusconi al suo
destino. I lumbard che si lasciarono sedurre dall’uomo del Colle oggi sono coloro che più apertamente si rifiutano di commemorarlo. Un rapporto contraddittorio che neppure la morte ha rasserenato. Oggi un nuovo episodio?
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