Scalzone a Venezia, show per i br

da Venezia

La cattiva maestrina e il cattivo maestro. È la strana coppia che la Mostra del cinema ha idealmente riunito, a sorpresa, nello scorcio finale, mentre i giurati litigavano sul tribolato palmarès. Lei è Fanny Ardant, lui Oreste Scalzone. Non si sono incrociati per una manciata di ore: l'una ripartiva, dopo l'anteprima poco esaltante di L'ora di punta, silenziosamente contestata dai giovani di Alleanza nazionale, per nulla disposti a perdonarle le scemenze su Curcio («un eroe») e le Br («Un fenomeno molto coinvolgente e passionale»); l'altro arrivava di prima mattina, ieri, col suo bagaglio di rabbia e citazioni, pronto invece a perdonarla e a dare battaglia nel nome della brigatista Marina Petrella, l'amica brigatista arrestata qualche settimana fa in Francia, ora in attesa di estradizione.
Una mossa azzeccata, almeno sul piano mediatico. Anche se alla fine se ne sono accorti in pochi in questa cittadella del festival ormai vuota, solcata solo da giornalisti. «Ma che esagerazione, non la si può crocifiggere per quelle frasi! Fanny Ardant diceva un sentimento, un'emozione. Per fortuna non tutti ci tirano le pietre in faccia», ha scandito il fu leader di Potere Operaio. Rivelando un retroscena, diciamo, gustoso: «Una settimana dopo l'intervista dell'attrice ho chiamato Renato (Curcio, ndr) per dirgli: ti invidiamo tutti, almeno mandale delle rose visto che ti chiama eroe». L'eroe non deve avergli dato retta. In compenso Scalzone è venuto qui anche per ringraziare la sospirosa Ardant, nella speranza di farla aderire al comitato pro-Petrella che sta mettendo in piedi.
A suo modo, uno show. Improvvisato a un centinaio di metri dalla facciata del Palazzo del cinema. Smagrito e ossuto, già in tenuta invernale, con cappello di feltro, maglietta, doppia camicia, gilé e giaccone di velluto nero, il «comunardo» (si definisce così) ha dato spettacolo nella curiosità crescente di televisioni e passanti. Tre quarti d'ora, un po' comizio e un po' performance, perché a un certo punto ha tirato fuori dal gigantesco zaino che sembrava annientarlo una fisarmonica rossa. E sono partite le note di O Venezia che sei la più bella, canzone popolare già rifatta da Francesco De Gregori e Giovanna Marini: «E i feriti sul campo di guerra / e tutto il popolo chiamava pietà», intonava Scalzone con piglio brechtiano, raddoppiando l'effetto da canzoniere sessantottino col refrain di Addio Lugano bella, tanto per restare in tema.
Il resto dello show, punteggiato da una ruvida schermaglia ideologica con un ciclista già del Pci, s'è tradotto in un'appassionata perorazione in favore della Petrella e dei «compagni ghermiti dalla polizia e riportati a discutere di cose successe trent'anni fa». Dice proprio «cose»: non omicidi, lutti, feriti, famiglie spezzate. Naturalmente Scalzone, nel suo eloquio forbito, anche elegante, da leader in servizio permanente, se la prende con i francesi che hanno revocato la famosa «dottrina Mitterrand». Lui la descrive come un «fazzoletto di terra per i rifugiati, un'eccezione che ha permesso a molti di noi, terroristi per un certo linguaggio codificato, di tornare a sperare». Revocare quell'asilo, per Scalzone, significa «non avere senso del tragico», perché in Francia «Marina ha fatto una figlia, s'è rifatta una vita». Insomma, «la giustizia infinita non esiste, è una roba da Sant'Uffizio, così facendo il male si aggiunge, l'unica soluzione è: rinunciare alla pena». Insomma, una nuova amnistia.
Il pubblico di curiosi non sa che fare. C'è chi fotografa, chi s'informa, chi lo prende per un barbone, chi s'arrabbia e se ne va. Specie quando, in un crescendo di voce accusa il governo di centrosinistra.

«Mi vergogno di Prodi, un piccolo uomo ignobile dal sorriso sguaiato, coi suoi sessantaquattro denti da ex boiardo dell'Iri. E anche di Amato: quando dichiara guerra ai lavavetri mi fa schifo». Poi richiude la fisarmonica e se ne va al bar.
Michele Anselmi

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