Scandali Stanford in manette Finisce la fuga del neo-Madoff

Chi ha assistito ne parla come di una scena da «thriller movie» hollywoodiano. I federali in abito scuro e occhiali da sole che arrivano su grossi Suv neri, circondano la villetta e aspettano che il fuggitivo esca e si consegni. Finisce così, davanti all’abitazione della fidanzata a Fredericksburg, Virginia, la latitanza di Allen Stanford, il miliardario texano ormai soprannominato il «nuovo Madoff». Era sparito lo scorso febbraio quando il suo nome era emerso in un’inchiesta della Sec, la Consob americana. Le cifre sono diverse, 8 miliardi di dollari spariti nel nulla contro i 50 di «Bernie», ma la sostanza non cambia: una truffa a danno degli investitori, attirati dal miraggio di guadagni che la stessa Sec aveva definito «improbabili». Centro di questa nuova piramide finanziaria, che secondo le accuse dell’autorità americana si reggeva già da un decennio, la Stanford International Bank Ltd con sede nell’isola caraibica di Antigua. Ai clienti andavano certificati di deposito ad alto rendimento. Ma i fondi, invece di essere investiti in attività controllate e facili da liquidare, andavano ad alimentare le speculazioni dello stesso Stanford, soprattutto nell’immobiliare e nel private equity.
59 anni, numero 605 nella classifica 2008 di Forbes dei più ricchi al mondo, noto per le sue sponsorizzazioni nel tennis, nel golf, nel cricket e nella vela, Stanford ha sempre affermato di aver gestito i soldi in maniera corretta. Ma ora per il miliardario arrivano accuse penali pesanti e si aprono le porte del carcere texano di Houston. Con lui sono coinvolte almeno altre cinque persone: quattro alti dirigenti della Stanford Group, tra cui il direttore finanziario James Davis, che materialmente gestiva i fondi insieme a Stanford, e la responsabile investimenti Laura Pendergest-Holt. Spicca anche il nome di Leroy King, capo dell’Authority finanziaria di Antigua, accusato di essere complice della truffa.
La lista degli arrestati potrebbe allungarsi.

Il crac Stanford è di fatto il primo scandalo finanziario di grandi proporzioni dell’era Obama. Il presidente americano aveva promesso in campagna elettorale pugno di ferro contro il malaffare finanziario. Difficilmente deluderà gli elettori.

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