La scappatoia diplomatica

È probabile, praticamente è certo che, di là della polemica politica inevitabile sui temi che riguardano immigrazione e integrazione, la vicenda della scuola araba di via Ventura darà vita a una sofisticata battaglia in carta bollata. Ricorsi, istanze, il Tar e le sue ordinanze, squadre di legali e giuristi pronti a spaccare il cavillo in quattro. Le società aperte danno anche agli ospiti e agli ultimi venuti la possibilità di utilizzare le loro leggi e le procedure defatiganti, ma è curioso che i promotori della scuola di via Ventura, pur predicando moderazione e volontà d’integrazione, sembrino soprattutto decisi a far nascere l’istituto contro le autorità italiane. Non osiamo nemmeno pensare al principio della reciprocità: in un qualsiasi Paese islamico potrebbe essere aperta una scuola italiana senza permessi, in condizioni di sostanziale semiclandestinità?
Ma altre notizie fanno pensare che un certo islamismo radicale voglia dare a questa contesa il carattere di un braccio di ferro, da vincere a tutti i costi. Si sente dire che chi ha realizzato la scuola per ora illegale vorrebbe fare intervenire le autorità consolari o diplomatiche egiziane perché premano per una rapida soluzione. Si cercherebbe, insomma, di «internazionalizzare» la questione e anche questo è singolare per cittadini italiani o aspiranti tali; la manovra, se ci fosse, farebbe pensare piuttosto a volontà di separazione e di conflitto. È interessante, comunque, seguirne gli sviluppi.

Per parecchi, compresi esponenti della comunità musulmana, la scuola di via Ventura dovrebbe essere la continuazione dell’istituto abusivo di via Quaranta, dove si predicavano l’integralismo anti-occidentale e il fanatismo jihadista. Il governo del Cairo, che è nel fronte dell’Islam moderato, dovrebbe sponsorizzare una simile operazione? E il nostro governo dovrebbe accettare in silenzio eventuali pressioni?
Chiarezza cercasi.

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