Scarcerato l’afghano che crede in Cristo L’Italia gli offre asilo

Abdul Rahman è stato messo sotto protezione per il timore di vendette islamiche. Decisiva la lettera del Papa a Karzai

Fausto Biloslavo

Abdul Rahman, l’afghano convertito al cristianesimo che rischiava la pena di morte per la sua nuova fede, è stato liberato lunedì notte dal penitenziario di Kabul. Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha reso noto che chiederà al governo di ospitare Rahman in Italia, perché se rimanesse in Afghanistan rischierebbe sicuramente la vita per mano degli estremisti islamici.
L’annuncio della liberazione è stato dato dal procuratore generale afghano, Mohammad Ishaq Aliko, il quale ha firmato la richiesta di scarcerazione. Subito dopo è arrivata la conferma del ministro della Giustizia, Sarwar Danish, che ha spiegato come la scarcerazione fosse un atto dovuto, in seguito al fatto che l’afghano non aveva subito alcun processo valido, ad un mese dal suo arresto, termine massimo previsto dalla legge. In realtà Abdul Rahman era già stato chiamato davanti alla corte e, siccome insisteva di non voler tornare alla fede musulmana, il pubblico ministro voleva farlo condannare a morte. La levata di scudi della comunità internazionale, a cominciare dall’Italia, ha fatto annullare il processo per vizi procedurali. Inoltre il ministro della Giustizia afghano ha fatto riferimento anche alla perizia psichiatrica svolta lunedì nel carcere di Pol i Charki, dalla quale risulterebbe che Rahman non è completamente sano di mente. In pratica le autorità afghane considerano un «pazzo» chi diventa cristiano in Afghanistan.
La scarcerazione è stata avvolta dal più stretto riserbo e lo stesso procuratore generale, annunciandola ore dopo, ha sottolineato che l’afghano convertito «si trova sotto protezione. Lo teniamo in un posto speciale, unicamente per garantirne la sicurezza». In seguito si è scoperto che era ospitato in una base delle Nazioni Unite a Kabul. L’Onu aveva mediato fin dal primo giorno per trovare una soluzione all’intricata vicenda e lunedì sera il portavoce, Adrian Edwards, aveva annunciato che Rahman chiedeva asilo politico all’estero.
Nonostante l’intervento personale del presidente americano George W. Bush, le proteste tedesche, canadesi e di altri Paesi occidentali nessuno, però, è sembrato pronto ad accollarsi la patata bollente. I vertici religiosi afghani avevano già protestato per «l’interferenza» straniera sul governo di Hamid Karzai ed i talebani hanno emesso addirittura una fatwa per eseguire la condanna a morte di Rahman in ogni caso. La stessa famiglia ha dichiarato di non volerlo più vedere. Non è escluso che possano esplodere incidenti quando la notizia della scarcerazione si spargerà in tutto l’Afghanistan. Molti invocavano addirittura l’impiccagione di Rahman allo stadio, davanti alla popolazione.
Dall’Italia è partita la prima protesta in difesa dei diritti del convertito e quindi il nostro Paese si assumerà il rischio di concedere ospitalità al cristiano afghano. La Farnesina ha fatto sapere che Fini chiederà al consiglio dei ministri di oggi di concedere ospitalità a Rahman. Il primo passo potrebbe essere un permesso di soggiorno. L’asilo politico per motivi religiosi è in ogni caso previsto sia dalla Costituzione italiana che dalla Convenzione di Ginevra.
Fonti diplomatiche a Kabul sottolineano, però, che diverse altre nazioni si sono dimostrate restie ad ospitare Rahman: «L’insoddisfazione pubblica appare molto forte e qualsiasi Paese decida di prenderselo rischia di diventare il bersaglio di proteste, che nessuno vuole».

Secondo monsignor Giuseppe Moretti, il parroco di Kabul, che dice messa in una piccola cappella ricavata all’interno del cortile dell’ambasciata italiana, «la lettera del Papa a Karzai è stata uno dei motivi determinanti della liberazione di Abdul Rahman». Non a caso la Conferenza episcopale italiana ha ringraziato Fini per la concessione dell’asilo.

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