Scarcerato, ma nessuno lo avvisa: si uccide in cella

Era libero da un giorno, solo che in carcere si sono dimenticati di avvisarlo. Non ce la faceva più a restare dentro, si è tolto la vita con il gas del fornellino all’interno della sua cella.
Giovanni Lorusso, 41 anni, nato a Bari, residente a Milano, tempo fa svolgeva lavori saltuari, non era un ladro qualsiasi. Nell’agosto 2008 aveva rubato uno zaino in spiaggia, a Rimini, furto pagato con una condanna apparentemente abnorme, di 4 anni e 5 mesi. Colpa di una serie di aggravanti: era recidivo per quel tipo di reato, aveva la patente di delinquente professionale; violò misure di sorveglianza, non poteva spostarsi da Milano. Tramite il suo legale chiese gli arresti domiciliari, in una comunità di recupero, il Gabbiano, in provincia di Sondrio, anche per uscire dalla tossicodipendenza, ma per due volte l’istanza era stata respinta. Per un anno ha sopportato la detenzione senza problemi, nel carcere di Rimini, a inizio settembre il trasferimento nel penitenziario di Ariano Irpino. Lì aveva lamentato maltrattamenti: lividi e una mano fratturata, di cui ha scritto in una lettera alla sorella Maddalena, impiegata a Milano. Lei avrebbe chiesto spiegazioni alle autorità del carcere avellinese, tre settimane fa Giovanni Lorusso era stato trasferito a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, dove però non aveva ritrovato serenità. L’avvocato Martina Montanari aveva finalmente convinto la Corte d’appello di Bologna a lasciarlo libero, lunedì nel primo pomeriggio il provvedimento di scarcerazione era arrivato negli uffici del carcere di Palmi. «Tre giorni e puoi uscire», avrebbero dovuto comunicare al condannato. «Non l’abbiamo fatto subito - ha spiegato il direttore Pani, del penitenziario reggino, all’avvocato Montanari - perché prima volevamo verificare se ci fossero altri provvedimenti in corso che impedissero la scarcerazione». Non c’erano ostacoli, in effetti, oggi Lorusso sarebbe potuto entrare in comunità. Ma martedì si è suicidato. Ovvio che i familiari ora chiedano giustizia, ieri mattina è cominciata l’autopsia. «Fosse stato avvisato tempestivamente - sostiene l’avvocato - la tragedia non sarebbe accaduta. Si era abituato alla carcerazione, dentro si sapeva far rispettare. Aveva raggiunto un grado grave di depressione, eppure mai aveva manifestato intenzioni autolesionistiche».
La madre Francesca Attolico è sotto choc, è convinta che sia stato ucciso. «Non possiamo escludere nulla - aggiunge il legale di famiglia -, nemmeno un delitto.

Il detenuto sapeva che la comunità era disponibile a ospitarlo, la risposta del tribunale stavolta probabilmente sarebbe stata positiva, quantomeno avrebbe dovuto aspettare di conoscerla, prima di mettere eventualmente in opera il suo piano per levarsi la vita».
«Troppi elementi sono rimasti in sospeso - accusa la sorella -, vogliamo sapere come sono andate veramente le cose». Di certo è l’ennesima tragedia che si è consumata in un penitenziario.

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