Chi vota e - soprattutto - chi è tentato di votare per la sinistra deve sapere per chi vota. Cerchiamo di spiegarlo utilizzando il sistema delle scatole cinesi: apri una scatola e ne trovi un'altra. L'ultima contiene spesso un mistero.
Sulla prima scatola sta scritto l'Unione e cioè la confederazione fra partiti grandi e piccoli: la Quercia (Piero Fassino), la Margherita (Francesco Rutelli), Rifondazione comunista (Fausto Bertinotti), i Verdi (Alfonso, Pecoraro Scanio), La Rosa nel Pugno (Marco Pannella), Udeur (Clemente Mastella), Italia dei valori (Antonio Di Pietro) e, infine, i Repubblicani europei e i Comunisti italiani. Dicono che ci sono ben cento aspiranti o a un ministero o a un sottosegretariato.
Dentro la prima scatola ce ne è un'altra che vuole essere il nocciolo duro dell'Unione: è l'Ulivo, nuova veste dell'Asinello. È composto dalla Quercia, dalla Margherita e da Prodi; ed è un tram sul quale gli altri non possono salire. L'Ulivo gestisce i fondi per le elezioni.
La terza scatola è un mistero e potremo definirla così con il titolo di un'opera di Pirandello: Uno, nessuno, centomila. È un mistero che indica due possibili strade. La prima è quella che Arturo Parisi vuole sui giornali con ferma ostinatezza, mentre Romano Prodi cerca di realizzarla con un astuto gioco diplomatico. Essa vede prevalenti due dei tre elementi del titolo pirandelliano: l'uno e i centomila, base del Partito democratico, che - per ora - è soltanto un fantasma. Parisi parte dalle Primarie, una vera rivoluzione politica, perché rappresentano la vera partecipazione, mentre i singoli partiti sono soltanto delle oligarchie e pertanto vanno rottamate. Due osservazioni a Parisi. Quel plebiscito alle primarie è stato ottenuto anche o in gran parte per merito della mobilitazione dall'alto da parte dei partiti oligarchici. La seconda osservazione riguarda l'uno e i centomila: il plebiscitarismo personalizza la politica e, senza la mediazione di più partiti e non di un partito unico, porta al dispotismo.
Veniamo all'altra ipotesi, quella del signor nessuno (è l'uno), cioè di Romano Prodi. Questa ipotesi scarta il futuribile, cioè delle mere previsioni. Stando ai fatti oggi non possiamo dire se Prodi vincerà le elezioni o se verrà sostituito come leader della coalizione da Walter Veltroni. Oggi vediamo la Quercia e la Margherita inorgoglirsi per il buon esito del tesseramento nei loro rispettivi partiti, che non prelude certo alla loro rottamazione. Poi non cedono a Prodi nella eccessiva richiesta di fondi e non accettano che nelle prossime elezioni come capolista nelle diverse circoscrizioni ci sia soltanto Prodi. Prodi, se vince le elezioni, deve aspettarsi una continua mediazione con due alleati più potenti di lui. Prodi nell'illusione di un futuro partito democratico non ha oggi un suo partito, ma solo un piccolo gruppo di seguaci. Insomma è un re travicello.
Torniamo al punto da cui siamo partiti: i nove partiti. Chi comanderà? Il problema si porrà solo se Rifondazione sarà necessaria alla maggioranza del governo Prodi. In questo caso, quale che sia il numero dei suoi deputati, Rifondazione è avvantaggiata dalle sue capacità di mobilitazione, aiutata poi sempre dalle frange estremiste. Questo l'Ulivo non potrà farlo per la natura stessa di questa coalizione, che non può avere nemici e scontri a sinistra.
E i programmi? Difficile esporli in modo chiaro e sintetico dato che ognuno ha il suo (vago) programma. Per una opposizione, che ha sistematicamente e minuziosamente, ma anche scioccamente, bocciato tutto ciò che faceva il governo, era facile proporre di abrogare tutte le leggi fatte dalla Casa delle libertà. In un interessante ed intelligente dibattito sul Corriere della Sera si è invitato il centrosinistra ad abbandonare il programmismo, cioè a infarcire di tutto il tanto atteso programma, ma di enunciare solo cinque punti da approvare nei primi cento giorni di governo.
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