Lo sceriffo che sfidò Schwarzy

Nell’ufficio ha incorniciato le foto di tutte le sue prede, nessuna è riuscita a sfuggirgli negli ultimi trent’anni. Tra gli scalpi c’è anche George W. Bush, sorride abbracciato a un tipo con i ray ban e i cappello da cowboy, «al vecchio Leo con riconoscenza», c’è scritto col pennarello blu, la firma è quella del presidente degli Stati Uniti. Sacramento, terra di frontiera, gente timorata di Dio, Leonard Padilla, 67 anni, abita qui, ma vive in un altro mondo, di trent’anni fa. Lo conoscono tutti da queste parti, ha smesso da poco di cacciare uomini, ma fino a quando è stato il re della prateria non ha mai sbagliato un colpo. Semmai a sbagliare sono stati i nemici che si è fatto. Per due volte hanno cercato di farlo fuori, lo hanno aspettato in piazza, come Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco, ma hanno sbagliato mira. Lui no. Strano tipo Leo, i suoi erano messicani, e lui, occhi a fessura dentro l’orizzonte a scrutare chissà cosa, gli immigrati messicani proprio non li può vedere. Ne ha fatto il suo cavallo di battaglia da quando ha cambiato vita e si è dato alla politica. Per due volte si è candidato sindaco di Sacramento e per dimostrare a tutti che lui non ha paura di nessuno ha sfidato Arnold Schwarzenegger nella corsa al trono di governatore della California.

Tipo diretto, senza peli sulla lingua, Padilla, cinque figli e cinque nipoti, prima di diventare il più famoso bounty hunter della frontiera si è fatto sei anni tra i top gun e un anno di galera per qualche rissa da saloon di troppo. Ha un programma politico un po’ così: «Legalizzare la marjiuana è giusto. Anche se io a dire la verità non l’ho mai fumata». Solo la canna della sua pistola poteva...

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