Dottor Alessio Gamba, lei dirige lUnità operativa di attività psicologiche per letà evolutiva allospedale San Gerardo, è possibile che un bambino di nove anni metta in pratica pensieri di suicidio?
«In effetti si tratta di una modalità di comportamento che, di solito, non si riscontra prima delladolescenza. Certamente il bambino non ha saputo far fronte alle fantasie di vergogna e di morte che si sono realizzate in quel momento».
Si tratta di un caso isolato o è la spia di un disagio che può colpire anche i bambini in età elementare?
«Questo è sicuramente un caso estremo. Ma deve far riflettere genitori e insegnanti: in ospedale vedo sempre più spesso ragazzini con una grande vulnerabilità narcisistica che colpisce sempre più in anticipo. Mamme e papà stanno trasmettendo ai loro figli la convinzione che la vita sia una tensione allo spasimo in quella che noi chiamiamo la battaglia del gladiatore».
Cosa vuol dire?
«Significa che come nellarena la vittoria vale la vita, la sconfitta significa la morte. I grandi problemi dei ragazzi spesso derivano da qua, nel non saper anche perdere oltre che vincere. Perché nessuno gli ha insegnato che perdere è sufficientemente normale, fa parte della vita. Ho visto bambini di terza elementare per i quali una partita di pallone persa diventa un dispiacere intollerabile».
Di chi è la colpa?
«La colpa è delle aspettative di insegnanti e genitori per i quali un rallentamento nellingranaggio di questa frettolosa corsa in avanti a cui sono spinti i bambini viene vissuto come un fallimento. Troppi ragazzini vivono le loro giornate come fossero una continua prestazione in cui bisogna dare il massimo, pena perdere lamore dei genitori o, per i più grandicelli sentirsi degli sfigati. Ho in cura bambini che invece di giocare a biglie, vanno a giocare a golf».
Lei ha chiamato in causa anche gli insegnanti.
«Vedo una fatica crescente degli insegnanti a gestire il rapporto con i propri allievi. Sicuramente le difficoltà dei bambini sono aumentate, ma è anche calata lautorevolezza dei docenti e prova ne è che sempre più spesso alla prima difficoltà prendono il bambino e lo mandano da noi, dallo psicologo».
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