Schiavi dei videogame. Costretti a giocare per riuscire a vivere

Li chiamano "cinesi": vivono di fronte al monitor, accumulano punti che i giocatori di tutto il mondo comprano per sentirsi più bravi

Schiavi dei videogame. Costretti a giocare per riuscire a vivere

Milano - Con il linguaggio sbrigativo che gli è proprio, il popolo della rete li ha battezzati wage slaves: schiavi del salario. I giocatori di Warcraft invece e da poco anche gli utenti di Second Life, li chiamano «cinesi»: «Il cinese ha detto che a giocare con noi non ci sta». «Il mio amico è uno di quelli che compra abitualmente dai cinesi». «Ti ha più scritto il cinese che ieri ha fatto tutti quei gold?». Perché la maggioranza dei gold farmer giocano dalla Cina. Ma ci sono anche moltissimi sud coreani. E poi messicani, rumeni e indonesiani. Gold farmer significa fabbricante di gold, ovvero, per il mondo virtuale del videogioco online Warcraft - 8 milioni di utenti in tutto il mondo - moneta sonante. Con cui acquistare strumenti di battaglia, privilegi, avanzamenti di ruolo del proprio avatar, l'alter ego virtuale che li rappresenta nel gioco. Moneta che serve ad arrivare al settantesimo livello di espansione. Perché solo ai livelli alti ci si diverte davvero. Prima, e su questo si basa la strategia commerciale della società produttrice del videogioco on line, il gioco è un po' ripetitivo. Quasi come lavorare.
«Ci ho preso gusto solo dopo un anno, perché nella mia gilda (il gruppo virtuale cui si appartiene nella battaglia, ndr) ho incontrato le persone giuste. Giocavo parecchio, anche otto ore al giorno», ci racconta uno dei compratori di schiavi, Paolo Ronda, trent'anni, tecnico informatico. «Quando tornavo a casa dal lavoro, rifiutavo le offerte degli amici di uscire e mi collegavo. Per avanzare però, bisogna avere pelli di animali, erbe per pozioni, destrieri magici. Tutto questo costa monete d'oro virtuali, che si ottengono soltanto uccidendo milioni di volte lo stesso mostriciattolo: ogni mostro che uccidi sputa 4 o 5 silver, con 100 silver fai un gold e un cavallo che va veloce costa 5000 gold. Il conto in ore perse è presto fatto. E siccome ciò è abbastanza frustrante per uno che gioca per piacere, ecco che ti rivolgi ai cinesi e li paghi in soldi veri per ottenere monete virtuali. Io uscivo meno da quando giocavo e così i soldi che avrei speso al pub, li usavo per comprare dai gold farmer».
FENOMENO GLOBALE
Il fenomeno è ormai noto a livello globale tra i navigatori, anche perché Ge Jin, una studentessa dell'Università di San Diego ci ha realizzato un documentario che ha messo in rete, bollando per sempre i «cinesi» come schiavi del salario, soprattutto per le condizioni in cui lavorano. Si tratterebbe di almeno mezzo milione di persone che per dodici ore al giorno stanno davanti a un computer senza interruzione, radunate in sotterranei o capannoni con centinaia di schermi l'uno accanto all'altro. Ogni gold farmer deve raccogliere tra le 200 e le 400 monete d'oro per turno di lavoro e ogni mese produce circa 700 euro di cui intasca meno di un terzo. Purtroppo non si tratta di ragazzini che lo fanno per arrotondare, ma di uomini che spesso sono totalmente assuefatti alla macchina che sta loro di fronte e si sentono gratificati dall'evasione totale dalla realtà che questo lavoro consente loro.
Trovarli non è difficile, ci spiega Ronda: «Le offerte arrivano sulla casella di posta collegata al videogioco poco dopo che ti sei iscritto e ogni giorno più volte al giorno se sei un giocatore abituale. Ma ci sono anche pop up che esplodono all'improvviso in mezzo al gioco. Vai sul sito di una di queste “società”, scegli quanti soldi comprare, fai l'ordine, paghi con carta di credito e dopo nemmeno un'ora nella casella della posta del gioco trovi recapitati i gold». In media quanto si spende per volta? «Quasi tutti la prima volta comprano mille gold, che costano intorno ai venti euro. Una cifra ragionevole in cambio di monete che costerebbero una settimana di gioco per otto ore al giorno».
Ci abbiamo provato e abbiamo risposto anche noi a una di queste email dei «cinesi». Ma quando l'offerente ha capito che non volevamo comprare, non ha più risposto. La sua mail da quel momento è risultata inesistente. E siccome l'indirizzo mail è collegato all'avatar che ognuno usa per iscriversi al gioco, significa che questi «cinesi» si collegano ogni volta con nomi diversi: come se nella vita reale qualcuno avesse migliaia di documenti falsi.
«SPENDERE BENE IL TEMPO»
In teoria la policy del gioco vieterebbe questi commerci e i siti di aste dove i «cinesi» mettono in vendita armi e pozioni virtuali, ebay compreso, dicono di aver bandito i gold farmer. Ma poi basta digitare le parole chiave giuste - gold, warcraft - e appaiono lunghi elenchi di offerte: «Chi sviluppa il gioco impone le regole per mantenere i giocatori online più a lungo possibile» svela Ronda. «E questo implica che non si possano comprare gold. Ma se i giocatori si annoiano se ne vanno e quindi anche gli sviluppatori, credo, chiudono un occhio. Eppure capire chi sono i farmer è semplice: si mettono davanti a un mostro e cliccano migliaia di volte la stessa operazione, solo per fargli sputare denaro. A volte capita che siano banditi dal gioco, ma riescono a registrarsi di nuovo e tornano a lavorare.

Se invece veniamo scoperti noi, a comprare soldi o avanzamenti dagli schiavi, allora veniamo banditi per sempre». Lo ha fatto ancora o lo rifarebbe? «Certo. Comprare dai farmer è un modo per spendere meglio tempo e soldi». Chissà che schiavi, allora, non siano solo i «cinesi».

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