Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Mario Schifano, protagonista anarchico, e insofferente alle classificazioni, dellarte italiana recente. Nel decennale della scomparsa, fra le tante iniziative previste è in preparazione una grande antologica che si aprirà alla Galleria dArte Contemporanea di Roma il 3 giugno. Sarà loccasione per ricordare un artista che, come nessun altro, ha espresso lapprossimazione, limprecisione, il pressappoco, della nostra esistenza. «Tutto, nel mio lavoro, è approssimativo», dichiarava lui stesso. Era vero. Nei suoi quadri sembrava che il disegno mantenesse sempre un margine di trasandatezza, come di cosa terminata in fretta o non terminata affatto.
Era uno stile, il suo, carico di vitalità, che affondava le radici in una certa lezione futurista, ripensata alla luce di cinema, video e televisione. Tuttavia quellapprossimazione era anche una cifra filosofica. «Perfetto», dal latino perficere, significa «condotto a compimento». Ora, la nostra vita è, in genere, sommamente imperfetta. E le cose che facciamo sono tuttaltro che compiute: di solito sono lasciate a metà, confuse, pasticciate. Un po come la sua pittura, così grondante e gocciolante.
Schifano era nato a Homs, in Libia, nel 1934, da genitori italiani. Suo padre era un archeologo e un restauratore piuttosto conosciuto. Nel dopoguerra il ragazzo si era trasferito con la famiglia a Roma e, poco portato per gli studi scolastici, aveva cominciato presto a lavorare. Aveva fatto di tutto, collaborando anche per qualche tempo con la sovrintendenza archeologica, e disegnando planimetrie di tombe per il museo etrusco di Villa Giulia. Ma un lavoro così preciso e rigoroso non era lideale per lui.
Ben presto, poi, si era dedicato allarte. Dopo un breve momento informale, aveva praticato la pittura monocroma, dipingendo grandi superfici di un unico colore. Aveva esposto queste opere nel 1960 alla sua prima mostra (Roma, Galleria La Salita) con Franco Angeli e Tano Festa, futuri protagonisti con lui della «Scuola di Piazza del Popolo»: nome che deriva dal loro luogo di incontro, nellomonima piazza romana, ma che sembra fatto apposta per quella che sarebbe stata definita la Pop Art italiana.
Il successo arriva più tardi, alla metà degli anni Sessanta, quando Schifano inizia a dipingere segni, lettere, marchi (Esso, Coca-Cola), tratti dalla scena cittadina di tutti i giorni.
Avete mai visto una pubblicità confusa, sfatta, illeggibile? Schifano la dipingeva così: ma perché, dietro quellimmagine, per lui non cera un prodotto. Cera unidea della vita.
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