Schiff e le melodie ungheresi di Bartók

Parla un italiano fluente e forbito in virtù dell'orecchio musicale pronto a captare con naturalezza ritmi e suoni linguistici, ma anche della lunga permanenza sui colli fiorentini.
Ha lasciato l’Ungheria nel 1979 per alimentare una carriera internazionale. Quell’Ungheria che come un fiume carsico ritorna periodicamente nella vita di Andràs Schiff, considerato fra i maggiori pianisti in circolazione. La sua agenda include sistematicamente recital a Budapest, dove è venerato, così come con i cicli di concerti in onore di Haydn a Palazzo Esterhazy, Schiff ha voluto rammentare al governo ungherese che l’edificio degli antichi mecenati del musicista reclama restauri.
Quando Schiff intende sventolare la bandiera musicale di casa propria impagina programmi nel segno di Béla Bartók. Cosa prevista per stasera, in Conservatorio (ore 20.30), dove Schiff è ospite della Società del Quartetto. Il pianista si avvicenda al Quartetto Mikrokosmos, propone Sonate, Suite ma anche pagine estratte da Mikrokosmos, la raccolta nelle dita di ogni studente di pianoforte, formativa come pochi altri testi.
Inserto pianistico, fatto di suoni materici e crudi quindi l’alter ego dello Schubert nelle corde di Schiff, incorniciato dal Terzo e poi Sesto Quartetto.

E con i Quartetti si disvela il laboratorio privilegiato di Béla Bartók che profittò del genere quartettistico per sperimentare nuove forme e sonorità trasfondendovi il frutto di una continua ricerca sulle musiche popolari. Perché Béla Bartók spese una vita a scoperchiare, almeno idealmente, bauli ricchi di musiche locali: analizzate scientificamente e ricreate con arte.

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