Si avverte un senso di purezza antica, ravvivato dal tepore della poesia. Cè lebbrezza di unenergia motoria: naturale, endogena, che mai tracima poiché addomesticata dalla ragione. Di qua lestro, di là la matematica, in calcolato equilibrio. Tocco, fraseggio, colori, profumi fanno del Bach di Andras Schiff, un Bach di riferimento.
Sono pochi i titoli bachiani che questo pianista non abbia ancora affrontato, in recital o in sala di registrazione. Perché Schiff ha esplorato Domenico Scarlatti, Mozart, Schubert, Schumann, sè da poco conclusa limpresa desecuzione in ordine cronologico in giro per lEuropa delle Sonate di Beethoven. Ma è Bach a stazionare in cima allindice di gradimento di questo pianista e, ancor prima, musicista ungherese, accasato a Firenze.
Schiff torna a Milano domani in Conservatorio, ospite della Società del Quartetto per proporre le sei Suites inglesi (BWV 806-811). Un tour de force che prenderà il via con unora danticipo rispetto al consueto, dunque alle 19.30. Schiff ama Bach, musicista europeo che seppe «cogliere e conciliare spunti di diverse origini. Le sue composizioni rispecchiano la totalità e lunità della cultura europea, cosa di cui oggi tanto si parla con scarsi risultati pratici, però», ci spiega lartista. Bach che linterprete associa al mondo dellarchitettura, «anzitutto gotica, mi ricorda strutture dove le decorazioni vengono inglobate dallorganismo. Edifici la cui rilevanza supera lornamento in sé: incamerato e reso parte integrante».
Quanto alle riletture extra-classiche di Bach, tanto per intenderci da Uri Caine a Keith Jarrett, Schiff arretra: «Capisco lentusiasmo dei musicisti jazz attratti dalla vitalità del ritmo bachiano. Bach è un musicista generoso e in quanto tale può reggere operazioni di questo tipo... però non amo le trascrizioni, non escluse quelle di Busoni».