Schumi ha vinto l’ottavo mondiale anche se nessuno se n’è accorto

Il suo successo: è vivo. Al primo giro dell’ultimo Gp la Force India di Liuzzi è salita sulla sua Mercedes, sfiorandolo. E ora la F1 studia come proteggere la testa dei piloti

Schumi ha vinto l’ottavo mondiale anche se nessuno se n’è accorto

Oggi l’uomo teutonico spegnerà quarantadue candeline. Prendendo fiato, regalerà un sorriso alla moglie, un puffetto affettuoso ai figli e nasconderà un sospiro. Di sollievo. Perché l’uomo teutonico è vivo. Perché può festeggiare. Perché in cuor suo, nonostante la nota freddezza del suddetto muscolo, sa bene che l’ottavo mondiale, il più importante, lui, comunque, l’ha vinto. Semmai sono gli altri a non essersene accorti. Che importa, problema loro.

Giusto un anno fa, Michael Schumacher aveva annunciato il ritorno in F1 con la Mercedes. Obbiettivo dichiarato: «Podio e vittorie». Obbiettivo sottinteso: «Conquistare il titolo». Non erano le frasi di un vecchio sbruffone; aveva una discreta serie di sacrosante ragioni per affermarlo: avrebbe guidato la Mercedes appena giunta in F1 cambiando colori e livrea alla Brawn Gp fresca vincitrice del mondiale; era tedesco in casa dei tedeschi; e il compagno speranzoso, Nico Rosberg, veniva considerato un ragazzotto bravo ma nei ranghi. Come dire: domabile e controllabile.

Giusto un anno dopo, le cose sono un tantino cambiate. Mentre soffierà sulle candeline, l’uomo teutonico non potrà fare a meno di rammentarlo: la Mercedes si è dimostrata soprattutto una livrea; la Brawn Gp nascosta sotto i colori germanici è tornata nei ranghi e, se vogliamo, anche più indietro una volta esaurito il vantaggio regalato dai diffusori furbetti del 2009. E di vittorie non parliamone, tantomeno di mondiali a cui puntare. Per favore, non scherziamo... Quanto al ragazzotto, Nico l’ha addirittura umiliato, doppiandolo: 142 punti e tre podi contro zero podi e 72 punti. Non bello.
Però Michael è vivo, il suo mondiale sta racchiuso in questa considerazione. E tanto basta. Poco importa che da divo dei motori si sia trasformato in un quasi pinco palla; poco interessa che dopo diciotto anni da kaiser dei motori abbia trascorso una stagione da uomo qualunque; praticamente ignorato come avrebbe sempre voluto in tanti anni di carriera, tranne che in quello appena concluso. Invisibile fino all’ultima gara della passata stagione, quando ha portato a casa la pellaccia nel pomeriggio decisamente poco strategico della Ferrari ad Abu Dhabi. Gran premio confuso per molti e da dimenticare per il popolo di rosso vestito; gran premio che ha beffato Alonso e incoronato un altro tedesco, l’erede designato di Michael: Sebastian Vettel.

Anche per questo in pochi hanno fatto caso al mondiale della vita conquistato dal vecchio uomo teutonico. Gli occhi del mondo erano concentrati sui pasticci Ferrari al muretto, sulle strategie sbagliate, sulle Red Bull che volavano, sul tedeschino Vettel che centrava il titolo. Quanto alla Mercedes di Michael intraversata al primo giro, alla Force India di Vitantonio Liuzzi che ci si issava sopra neanche fosse una bisarca, quanto a tutto questo solo scorie di memoria. Eppure la ruota anteriore dell’italiano aveva appena sfiorato il mento mascelluto nascosto nel casco del crucco. Questione di millimetri e di culo, dettagli che erigono un muro tra l’esserci e non esserci. E sentitamente grazie al dio dei motori che in quei disperati istanti aveva deciso che non era tempo. E grazie, in prospettiva, anche alla Federazione di monsieur Todt e agli uomini della commissione tecnica F1 già al lavoro per installare sulle monoposto dei cupolini o strutture atte a proteggere la testa dei piloti. Che politici dello sport e ingegneri si siano messi al lavoro così in fretta la dice lunga sul pericolo corso dall’uomo teutonico.

A questo, oggi, Michael penserà, promettendo pace e bene alla famiglia e trionfi e successi per sé.

Nei giorni scorsi l’aveva ribadito alternando frasi tonanti del tipo «i risultati del 2010 non sono stati quelli che mi aspettavo, ma il mio credo è lottare per ottenerli» a esternazioni vagamente barrichelliane: «Non ho niente contro il mio compagno in Mercedes, però ho spiegato ai vertici della squadra che per il prossimo anno va trovata una spiegazione... la mia macchina, e solo la mia, non andava bene...». Dopo di che solleverà una coppa di champagne, farà finta di brindare a tutti ma brinderà solo a se stesso. E al mondiale vinto. Il più bello.

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