Politica

Gli sciacalli dell’11 settembre

Il sangue dell’11 settembre è stato tolto da «Ground zero» e dagli altri luoghi della carneficina, ma il fango rimane: o piuttosto ne viene tuttora sparso in abbondanza sulle memorie e sulle macerie dell’immane tragedia. Esiste uno sciacallaggio giornalistico e storico praticato a volte per venale ricerca del sensazionale, altre volte per faziosità politica.
Suppongo che la tentazione d’un facile sensazionalismo abbia indotto un professionista serio come Enrico Mentana a dare largo spazio - in una puntata di Matrix sul quinto anniversario degli attentati che sconvolsero il mondo - alle opinioni di Giulietto Chiesa e Maurizio Blondet. I quali sostengono che la verità sull’11 settembre, ancora tutta da accertare, è ben diversa da quella ufficiale. Si sarebbe in realtà trattato d’un complotto nel quale l’amministrazione americana avrebbe avuto un ruolo non di bersaglio e di vittima, ma di complice. Chiesa e Blondet hanno esposto queste loro tesi senza dover affrontare un valido contraddittorio. S’è parlato di scandalo, con invocazione di misure punitive, per la libertà con cui Luciano Moggi, non rimbeccato, ha espresso le sue opinioni su calciopoli. Sarò un originale, ma ritengo che il «caso» Chiesa-Blondet superi di molto, per gravità, il caso Moggi.
Non me la prendo con Giulietto Chiesa, che è stato corrispondente dell’Unità da Mosca anche nei plumbei anni brezneviani, e del quale non ricordo scritti di schietta critica nei confronti d’un regime odioso. Gli vengono attribuite da qualcuno doti raffinate d’analista politico. Ho i miei dubbi: alimentati dal fatto che inneggiò al corso politico gorbacioviano, la cui conclusione non mi pare sia stata esaltante. Professa un antiamericanismo viscerale, ed ha contribuito a pubblicazioni e manifestazioni il cui tema dominante è questo: sull’11 settembre Bush ha mentito. Gli fa da spalla in questa campagna diffamatoria - ritengo sia doveroso chiamarla con questo nome benché la mia simpatia per George W. Bush sia minima - il premio Nobel Dario Fo.
Fin qui siamo nel risaputo, e direi nell’ovvio, d’un filone politico e propagandistico che ama gli esempi di democrazia rintracciabili in Iran e nella fiorente e libera società cubana. I Chiesa, i Fo, i Minà trovano sempre qualche pezza d’appoggio per le loro affermazioni. Così come hanno trovato pezze d’appoggio quanti sostengono - più o meno - che Aldo Moro non fu sequestrato e ucciso dai brigatisti rossi ma dalla democrazia cristiana. Lasciamo questi personaggi - che purtroppo hanno propaggini ideologiche, attualmente, nel governo della Repubblica - al loro delirio, o piuttosto alla loro cinica determinazione. Era semmai una questione di buon gusto quella di soffiare sul fuoco di queste insinuazioni proprio mentre il mondo intero ricorda migliaia di morti, ma il buon gusto se uno non ce l’ha non può inventarselo. Trascuriamo pure, perché contano poco, l’ospitalità che da enti locali toscani vien data a questi vaneggiamenti.
Ma c’è un limite, e il limite sta nella doverosa cautela dei mezzi d’informazione quando si tratta di offrire spazio, voce, risonanza, a invenzioni che sarebbero difficilmente perdonabili anche se venissero da teste matte, ma che sono intollerabili se vengono da personaggi che si atteggiano a «maîtres à penser». L’impatto della televisione sulle menti e sui sentimenti della gente è sempre fortissimo, ed è enorme se il messaggio viene dall’ammiraglia di Mediaset, Canale 5, ed ha l’avallo d’un conduttore di prestigio. Per le proteste contro Matrix si griderà, lo immagino, alla censura. Qualche volta non una volontà censoria, ma un minimo rispetto della storia, impone d’intervenire. Qualora venisse proposto un programma nel quale si asserisse che la Germania nazista è stata aggredita dalla Polonia, il bloccarlo sarebbe soltanto un’operazione di igiene storica.

Con Bush complottardo contro le Torri Gemelle siamo press’a poco sullo stesso piano.

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