La minoranza etnica del Sud Tirolo, che noi da quaggiù ci ostiniamo pateticamente a definire italiani dell'Alto Adige, lancia un nuovo grido di dolore. Succede ciclicamente. Ultimamente sempre più spesso. La lunga storia di questi luoghi, strappati all'Austria col sangue di una guerra feroce e poi addolciti con privilegi unici al mondo, è costellata di episodi eclatanti, ma quest'ultimo nel suo piccolo riesce ad essere storico: l'Inno di Mameli, che da sempre in zona suona melodioso come il trapano del dentista, grazie ad un soave arrangiamento artistico viene accompagnato direttamente dallo sciacquone del wc. La nuova versione dell'inno nazionale, da molti qui vissuto come la tarantella di uno Stato straniero e odioso, non è proposto in un raduno di Schützen dopo la mezzanotte, quando la birra libera gli istinti primordiali. Mameli e lo sciacquone sono tranquillamente ascoltabili nel cuore di Bolzano, al «Museion» di arte moderna. La performance artistica prevede il suono ritmato di un tamburo, ma in sottofondo scorre - effettivamente il verbo è questo - la melodia inequivocabile di un water.
I poveretti di An, partito che innegabilmente più di tutti si ostina ad alzare difese contro l'invadenza sudtirolese, ancora una volta stanno provando a reagire. C'è già un esposto depositato in Procura. «Di fronte al vilipendio di un inno nazionale - si sostiene poi in un'interpellanza -, qualunque esso sia, qualsiasi istituzione politica non può rimanere indifferente, anzi deve esprimere il proprio disappunto». Il problema di Bolzano è che lo sfregio non riguarda un inno a caso, ma quello italiano. Alle volte, le combinazioni. Però stiamo tranquilli: certissimamente i curatori della mostra spiegheranno subito che c'è un malinteso, che nessuno vuole offendere, che il linguaggio dell'arte vola molto più alto delle miserie politiche. Alla fine bisognerà pure chiedere scusa. Per non avere colto.
La verità, sostengono ancora ad An, «è che assistiamo sempre più spesso a spettacoli indegni e degenerativi nei confronti di tutto quanto è italiano». Si chiede che le cosiddette istituzioni locali intervengano, almeno in occasioni come questa, dove una manifestazione pagata con denaro pubblico serve a svergognare i simboli dell'unità nazionale.
Appelli già sentiti. In teoria, per quanto ne possa capire un popolo qualunque, gli amministratori locali dovrebbero rappresentare e difendere lo Stato sul territorio. Ma qui il mondo non è così semplice. La nazione non è così normale. Qui l'istituzione locale liscia il pelo all'etnia tedesca, perché di fatto la impersona con il Sud Tirol Volkspartei, oppure perché le va a rimorchio per vincere le elezioni (Centrosinistra). È molto difficile - da sempre è molto difficile - che la politica locale fermi l'ondata di ritorno delle simpatie austriache. Qui intere vallate non hanno esitato a cambiare i nomi italiani delle vie, qui organi istituzionali non hanno esitato a chiedere la tutela della nuova Costituzione austriaca, qui è sembrato giusto e normalissimo che su tutti i prodotti tipici, su tutti i dépliant turistici, su tutte le insegne di manifestazioni pubbliche comparisse il logo della regione Sud Tirol.
E noi, cioè l'Italia? Più loro chiedono autonomia, ossia libertà di sentirsi cantone austriaco, più ci giriamo dall'altra parte. Da quando ci hanno terrorizzato facendo saltare i tralicci, non abbiamo concesso che omaggi. Lo Stato forte, fermo, autorevole? Qui, mai pervenuto. Si va sempre alla trattativa. Sapendo già chi perde e chi guadagna.
Non sarà molto diverso neppure stavolta.
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