
Carlo Rovelli è un importante fisico teorico e divulgatore. La sua principale attività scientifica è nell'ambito della teoria della gravità quantistica a loop (Loop Quantum Gravity), di cui è uno dei fondatori. Tra i suoi volumi ricordiamo Sette brevi lezioni di fisica, bestseller internazionale tradotto in 41 lingue ed Helgoland (entrambi Adelphi) proprio dedicato alla nascita della meccanica quantistica e all'isola nel mare del Nord dove, nel giugno 1925, cento anni fa, il fisico tedesco Werner Heisenberg iniziò ad elaborare la sua teoria. Nessuno più adatto a parlarci del centenario della meccanica quantistica.
Professor Rovelli, partiamo dall'inizio. Perché ci sia la meccanica quantistica deve esserci il concetto di «quanto» che se non ricordo male è stato postulato da Max Planck proprio allo scoccare del '900. Riesce a spiegarcelo in modo semplice?
«Max Planck nel 1900 ha fatto un calcolo che riproduceva bene certe misure di laboratorio, ma di cui lui stesso era il primo a non capire il significato. È stato Albert Einstein, nel 1905 a introdurre il concetto di quanto. Le parole più semplici per spiegarlo sono le sue, nell'apertura dell'articolo del 1905: Mi sembra che fenomeni connessi con l'emissione e la trasformazione della luce siano meglio comprensibili se si assume che l'energia della luce sia distribuita nello spazio in maniera discontinua. Qui considero l'ipotesi che l'energia di un raggio di luce non sia distribuita in maniera continua nello spazio, ma consista invece in un numero finito di quanti di energia che sono localizzati in punti dello spazio, si muovono senza dividersi e sono prodotti e assorbiti come unità singole. Questa è la nascita dei quanti: dei pacchetti di energia concentrata».
In meccanica quantistica il dualismo onda-particella si assottiglia... è complesso. Può lasciarci un po' come un gatto chiuso in una scatola... disorientati.
«Penso che sbagliamo a pensare che ci sia un'onda. L'onda sta solo nei nostri calcoli. L'onda è solo un modo per dire che le particelle si muovono in maniera un po' casuale e saltellante».
Nella domanda precedente ho citato, lateralmente, il famoso esperimento mentale del gatto di Schrödinger.
È lo scienziato che più viene legato alla quantistica. Però negli stessi anni ci hanno lavorato molti scienziati di genio: da Heisenberg a Born...
«Erwin Schrödinger ha contribuito in maniera importante, ma quando ha scritto i suoi lavori la meccanica quantistica esisteva già, praticamente completa, nei lavori di Max Born, Werner Heisenberg, Paul Dirac, e Pascual Jordan. Questi sono i veri eroi che hanno risolto il problema per primi».
Perché ad un certo punto tutta la fisica che conta si trova a dover fare i conti con i quanti?
«Perché non sono solo gli elettroni e i fotoni a comportarsi in maniera quantistica. Tutto si comporta in maniera quantistica. Tutto evolve in maniera probabilistica, saltella, e tutto è granulare come luce. Anche se per le cose grandi spesso si vede meno. La meccanica quantistica oggi si usa per studiare atomi, molecole, materiali, biologia molecolare, computer, laser, stelle e l'evoluzione dell'universo».
Anche il tempo guardato in modo quantistico non lo riconosciamo più. Non solo diventa relativo ma quasi puntiforme. Può aiutarci a capire anche questo con un esempio?
«La meccanica quantistica è stata applicata con grandissimo successo a tutti i sistemi fisici, meno uno. Quello che manca è il campo gravitazionale. Ci sono teorie preliminari, ma non siamo ancora sicuri siano giuste, come la gravità quantistica a loop. Io lavoro su questa. Alla luce di queste teorie, ci aspettiamo che anche il tempo sia fatto di quanti, cioè non sia davvero continuo, ma costituito da tempuscoli elementari molto piccoli. Un'idea tutt'altro che recente, del resto, esisteva già nella filosofia islamica antica».
Il profano ha l'impressione di avere a che fare con due fisiche. Una macroscopica che funziona sulla base della fisica classica e una microscopica che segue regole diverse. Alla fine queste due fisiche in qualche modo si uniranno?
«Sono già unite. Le cose che non abbiamo studiato bene ci sembrano sempre misteriose e disconnesse da quanto già sappiamo. Ma non lo sono, a ben guardare».
Lei ha lavorato molto per una teoria quantistica della gravità. Perché è importante?
«Perché siamo curiosi di scoprire qualcosa di quanto ancora non sappiamo. Se non sappiamo cosa sia successo nell'universo primordiale, o cosa succede dentro i buchi neri, è perché non abbiamo ancora capito bene le proprietà quantistiche dello spazio e del tempo».
Potrebbe portarci verso una teoria del tutto?
«Spero di no e penso di no. A me le teorie del tutto sembrano sempre solo pie illusioni. Siamo quanto mai lontani da sapere tutto».
Parlando di gravità è inevitabile sfiorare la teoria delle stringhe... Si può riassumere in un concetto semplice?
«È un tentativo di scrivere una teoria del tutto che ha raccolto molto entusiasmo negli anni passati, ma non ha prodotto quello che all'inizio si sperava, ed è andata incontro a delle delusioni quando ha provato a cercare sostegno facendo predizioni verificabili. Oggi appare alla maggior parte degli scienziati meno promettente che in passato».
Oppenheimer pare abbia detto a dei suoi studenti: «Posso rispiegarlo anche dieci volte ma non posso renderlo più facile di quel che è...». Però se la gran parte delle persone non capisce un certo tipo di fisica...
«La maggior parte della gente, io compreso, non saprebbe
ricostruire una radio. Ma è sempre stato così. La civiltà è quella bella cosa che succede quando ognuno contribuisce in una parte, ciascuno capisce un pezzo della faccenda generale, ci fidiamo l'uno dell'altro, e collaboriamo».