Noi scrolliamo, loro si deformano il cervello: l’infanzia rubata dallo smartphone

Tra scroll compulsivo e infanzia colonizzata dai social, il pezzo denuncia l’educazione digitale mancata: bambini connessi troppo presto, adulti distratti, relazioni svuotate. E i libri? Scomparsi

Noi scrolliamo, loro si deformano il cervello: l’infanzia rubata dallo smartphone
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Intendiamoci: anche noi adulti scrolliamo Instagram come idioti, e anche noi abbiamo avuto momenti in cui ci siamo trovati a guardare il nulla su TikTok, o a fissare una clip di trenta secondi di un tizio che affetta il sapone o di un altro che balla nel Bronx con una felpa di Hello Kitty. Ciò nonostante, per quanto rincoglioniti possiamo essere diventati, il nostro cervello si è formato in un’epoca in cui i libri esistevano, la noia era contemplata e il massimo della dipendenza digitale a portata di mano era Snake sul Nokia 3310.

Io stesso ogni volta mi stupisco, ho passato la vita a leggere libri e scrivere i miei e oggi mi ritrovo sempre più spesso a scrollare le storie di gente di cui non mi importa niente, senza nemmeno sapere come ci sono finito dentro, e solo a un certo punto mi chiedo: ma che cavolo sto guardando? Nel frattempo è passata magari un’ora, durante la quale avrei potuto fare qualsiasi cosa. Non lo dico per fare il nostalgico o il passatista, anzi: sono cresciuto con i computer, ho avuto internet appena era possibile, e prima ancora i primi computer, i primi videogiochi, perché negli anni Ottanta tutto questo era appena cominciato, e non ho mai smesso di giocare.

Tuttavia era un altro discorso. Non c’era questa forma di dipendenza passiva e onnipresente e trasversale che inizia a sei anni e ti svuota prima ancora di riempirti. Sì, a sei anni. Infatti secondo un’indagine guidata dallo psichiatra Sergio De Filippis e presentata proprio in questi giorni, il 43% degli adolescenti italiani tra i 12 e i 17 anni usa lo smartphone per più di cinque ore al giorno, e il 33% soffre di insonnia, mentre il 58% segnala episodi frequenti di ansia. Il bello è che solo il 17% dei genitori se ne accorge (forse perché sono troppo impegnati a mandare gif nei gruppi WhatsApp della scuola o a scrollare pure loro).

La cosa più inquietante non riguarda solo l’adolescenza in sé, perfino ciò che viene prima: l’età tra i 6 e i 9 anni, la più vulnerabile, perché espone un cervello ancora plastico e incompleto alla stimolazione artificiale del circuito del piacere, il nucleus accumbens, che viene acceso dagli schermi prima che il bambino sia in grado di gestirlo. È come servire alcol a un fegato ancora in via di formazione (tra l’altro è aumentato anche il rischio per il consumo di alcol tra giovanissimi, ma questa è un’altra storia) con un’interfaccia colorata e feedback sonori ogni tre secondi.

C’è di più: se aggiungiamo otto ore di sonno (forse), sei (minimo) di scuola, cinque di smartphone, il tempo per mangiare, respirare… capisci che non resta più spazio per altro. Il rischio? Quello di costruire ragazzi che pensano di avere relazioni profonde e in realtà vivono solo layer social effimeri, hop-scotch di immagini e pensano che la vita sia un like (un po’ come succede in diverse puntate di Black Mirror, una serie che sembra sempre meno distopica, infatti non sanno più cosa inventarsi). Il 58% riporta sintomi ansiosi, però quello che emerge è una nuova forma di isolamento mascherato da iperconnessione e a lungo andare, in quella fascia d’età, questo non può che generare disturbi affettivi, fragilità relazionali, deficit empatici, e una socialità ridotta a rappresentazione di sé.

Il ministro dell’Istruzione Valditara ha proposto di vietare l’uso dei cellulari anche alle superiori. Sono d’accordo, per il resto del tempo però il compito spetta alle famiglie, di qualsiasi tipo esse siano. Altrimenti non stiamo più formando cervelli: li stiamo allenando alla dipendenza fin dall’infanzia, con la scusa che “tanto ci crescono dentro”. Noi almeno ci siamo cresciuti fuori e poi ci siamo lasciati invadere (dalla modernità, dalla libertà, dall’Occidente, dalla modernità, e anche dalla tecnologia, che però non è mai stata così passiva). Questi ci nascono già colonizzati, col feed al posto della coscienza e mai un libro in mano. Qualcuno dirà: però prima i bambini si lasciavano davanti alla televisione. A parte che il tempo per la tv era contato proprio dai genitori, ma se proprio volevamo essere asociali almeno guardavamo telefilm con una struttura narrativa, immaginazione, o cartoni animati favolosi, non una droga in cui si scrollano idioti che più sono idioti più guadagnano sulle views di altri idioti (per diventarlo c’è sempre tempo, insomma).

Anche qui, lontano da me ogni moralismo: non è che gli adulti italiani leggano romanzi, siamo ultimi in Europa per lettura di libri e quotidiani (a prescindere dalla dipendenza del digitale e passiva

nell’età di formazione), tuttavia almeno abbiamo avuto l’occasione di imparare come si fa, i ragazzi di oggi no. Qui non è colpa loro: è che li abbiamo lasciati soli con un feed al posto dell’infanzia e dell’adolescenza.

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