Cronaca locale

Sciolsero donna nell’acido: processo azzerato

Sciolsero donna nell’acido: processo azzerato

In cella è partito il conto alla rovescia. Perché gli assassini di Lea Garofalo, ex collaboratrice di giustizia e compagna di un affiliato alla ’ndrangheta, uccisa e sciolta nell’acido dalle cosche, potrebbero essere scarcerati per decorrenza dei termini ancora prima che si arrivi a una sentenza di primo grado. Il giudice Filippo Grisolia, presidente della prima corte d’assise davanti alla quale si celebra il processo, è stato nominato capo di gabinetto del neo ministro della Giustizia Paola Severino. E le difese degli imputati non hanno dato il consenso per mantenere valide davanti a un nuovo giudice e a un nuovo collegio le prove finora raccolte in dibattimento. Morale, tutto da rifare. E a luglio potrebbero aprirsi le porte del carcere per gli assassini della donna.
Una buona notizia per Carlo Cosco (ex convivente della vittima) e dei suoi fratelli, Vito e Giuseppe, e di altri tre complici accusati di aver sequestrato la donna il 24 novembre 2009, di averla uccisa e di averne sciolto il corpo nell’acido. E tutto per le sue dichiarazioni su un omicidio mai confluite in alcun processo. Carlo Cosco, 40 anni, era stato coinvolto in inchieste alla fine degli anni Novanta a Milano, ed è cugino di Vito Cosco, autore della strage di Rozzano in cui morirono quattro persone nell’agosto del 2003. Lea Garofalo aveva iniziato a collaborare con la giustizia nel 2002, raccontando della faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli, e gli omicidi di mafia avvenuti a Milano. Nel 2006 aveva abbandonato il piano di protezione.
Stando all’indagine dell’antimafia, a organizzare l’agguato sarebbe stato Carlo Cosco, da cui la Garofalo aveva avuto una figlia. Proprio la ragazza è stata usata come «pretesto» per organizzare l’incontro. La donna viene attirata in uno stabile di via Montebello, dove abitavano alcune famiglie legate alla ’ndrangheta. La telecamera di un edificio vicino al cimitero Monumentale ne immoratalano gli ultimi istanti di vita. Lea Garofalo è caricata su un furgone, portata in un magazzino, interrogata e uccisa. Poi il cadavere viene scaricato su un terreno delle campagne vicino a Monza, e sciolto nell’acido.
E nel processo che dovrà ricominciare ci sono anche le deposizioni di Denise Cosco, la figlia della vittima poco più che maggiorenne, che da tempo vive sotto tutela. Lei e la madre avevano «uno stretto legame - ha detto davanti ai giudici - come tra amiche». Lea Garofalo era «una donna sola e solitaria, proprio per le scelte che aveva fatto». «Per un anno non ho detto nulla a mio padre, pur sapendo che lui e gli altri avevano ucciso mia madre, cercavo di autoconvincermi che non era andata così, anche se sapevo che quella era stata la sua inevitabile fine». Una testimonianza dolorosa, fatta ripercorrendo gli anni passati, tra il 2002 e il 2008, saltando da una città all’altra, come previsto dal «programma provvisorio di protezione». Ha passato un anno con gli assassini della madre. «Ho giocato con i loro figli, pur sapendo che l’avevano uccisa».

E mentre giocava a far finta che nulla fosse successo, aiutava carabinieri e magistrati a incastrare i killer.

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