Roma - Era un canile, adesso è una villa nel verde selvaggio in mezzo ai cinghiali e ai daini di Castel Porziano. No, non la butteranno giù, non vale la pena sprecare altri soldi. Anzi, stanno pensando come riciclarla per «attività istituzionali». Nel dare la linea, Giorgio Napolitano è stato molto chiaro: severità, rigore, collaborazione massima con l’autorità giudiziaria, ma basso profilo e soprattutto nessun gesto che suoni come rivalsa o polemica contro le passate gestioni. Del resto non c’è bisogno di prendere ulteriormente le distanze dal «moralizzatore» Ciampi: non è stato proprio il segretario generale Donato Marra a notare il buco di bilancio e a chiamare i giudici? Non è da lì che vengono l’inchiesta, gli arresti, lo scandalo, la scoperta dei quattro milioni e mezzo spariti dalla casse della tenuta presidenziale? Adesso toccherà ad Augusto Santacatterina, il nipote di Giuseppe Saragat, dare una bella ripulita all’amministrazione dei parchi.
Era l’uomo più potente d’Italia. Era lui, dicevano tutti, il vero presidente della Repubblica. Quattordici anni da «vicerè del Colle», da principe dei grand commis. Adesso Gaetano Gifuni è all’angolo, con una richiesta di rinvio a giudizio per falso sulle spalle e un nipote, Luigi Tripodi, finito in galera per abusivismo edilizio, peculato, falso e truffa. L’inchiesta penale farà il suo corso. Intanto ce n’è abbastanza per offuscare una lunga e onorata carriera nelle istituzioni. Segretario generale del Senato, ministro, poi numero due del Quirinale durante le presidenze Scalfaro e Ciampi, gran tessitore di rapporti, asse portante della Repubblica. «Prudenziano», così lo chiamavano nei palazzi. Ma col nipote non è stato molto prudente. A metterlo nei guai la disinvolta gestione dei due milioni 700mila euro destinati ogni anno al Servizio tenute e giardini. Gran parte di questi soldi, secondo i magistrati, dal 2002 in poi sarebbero finiti nelle tasche di un ristretto gruppo di funzionari. Il nipotino Tripodi appunto, poi il direttore di Castel Porziano Alessandro De Michelis e i cassieri Paolo Di Pietro e Gianni Gaetano.
Sparivano, a quanto risulta, 50-60mila euro al mese. Intanto crescevano delle case. Il vecchio canile, usato per anni dal nucleo cinofilo dei carabinieri, si è magicamente trasformato in una villa a due piani di 180 metri quadri con tettoia coperta per le macchine e duemila metri di giardino. Tripodi ci si era installato con la famiglia e non voleva lasciarlo nemmeno dopo essere stato messo in pensione. A raccontare tutto è stato il cassiere Gianni Gaetano, il pentito dell’inchiesta. «Tripodi ci diceva: “Come se ne va mio zio, me la squaglio”. Invece lo zio è rimasto e lui ha viaggiato tranquillo».
La svolta nel 2006. Ciampi, come tutti i suoi predecessori, ha sperato fino all’ultimo di essere confermato. Gifuni invece ha capito subito che, con Giorgio Napolitano sul Colle, non avrebbe più potuto mantenere il suo posto, Così, uno degli ultimi atti del presidente uscente, è stato quello di promuovere Gifuni segretario generale onorario, una carica inedita, mai sentita prima, che ha permesso a Prudenziano di conservare privilegi, benefit e un po’ di potere.
Poche settimane dopo Gifuni però era giù, ai margini del nuovo Quirinale. Napolitano ha voluto subito imporre il suo stile austero, molto diverso dal precedente. Ciampi, eletto con un’ampissima maggioranza bipartisan, aveva impostato la sua presidenza su alcuni punti chiave: il patriottismo, l’unità d’Italia, nuovo lustro alle istituzioni. I simboli della Repubblica dovevano essere visibili, imponenti. Non si badava a spese. È stato Ciampi a rivolere la sfilata ai Fori per il 2 giugno, a organizzare grandi manifestazioni al Vittoriano, a viaggiare in tutte le oltre cento province italiane e in mezzo mondo. Quando volò a Buenos Aires in visita di Stato, la delegazione ufficiale italiana occupò 150 stanze nel più caro albergo argentino.
Napolitano, forse perché eletto da una risicatissima maggioranza, ha cambiato progressivamente tutto. Stile più sobrio, cerimonie riportate nel palazzo, meno viaggi e più brevi e un tentativo di trasparenza finanziaria. Piccoli tagli, blocco delle assunzioni, bilancio per la prima volta pubblico, addirittura su internet. Poca roba ancora, ma insomma, rispetto allo sfarzo di Ciampi è tutta un’altra cosa. Per carità, in pubblico nessuna polemica. Anche se il 2 giugno Napolitano si è tolto un piccolo sfizio. Ciampi aveva riaperto la pagina delle stragi del 1993, parlando della paura di un colpo di Stato. Lui ha risposto con un’alzata di spalle. «Sono cose di 17 anni fa...
se il presidente Ciampi ha percepito un allarme nel 1993, be’, ora siamo nel 2010. Dal punto di vista giudiziario mi auguro che si faccia chiarezza anche sui servizi. Il resto è storia, riflessioni, memorie che si incrociano...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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