Sclerosi, maggiore sicurezza

Comi: «Un nuovo interferone beta 1A nel primo anno di sperimentazione ha ridotto la produzione di anticorpi»

Gianni Mozzo

In alcune cronache del Cinquecento si parla di soggetto «impediti seppur giovani». Secondo gli storici della medicina, questa è la prima «notizia» sulla sclerosi multipla, che avrebbe trovato una precisa definizione nell’Ottocento. È malattia cronica del sistema nervoso che distrugge la guaina mielinica e limita progressivamente ogni tipo di movimento, fino all’immobilità, con frequenti tremori.
Purtroppo colpisce soggetti giovani (età media trent’anni) e ciò giustifica l’enorme attenzione della ricerca scientifica. In Italia soffrono di sclerosi multipla cinquantamila persone, senza distinzione di sesso.
Nel caso del congresso nazionale della Società italiana di neurologia (svoltosi recentemente a Bari) sono stati presentati i risultati parziali di uno studio internazionale che riguarda una nuova formulazione dell’Interferone Beta 1a nel trattamento della forma recidivante di sclerosi multipla. Secondo molti specialisti del settore, tali risultati rappresentano un notevole passo avanti nella strategia terapeutica. Il professor Giancarlo Comi, cattedratico di neurologia nell’università Vita-Salute del San Raffaele, spiega perché: «Il almeno trenta pazienti su cento che si curano con gli interferoni vengono fabbricati anticorpi che rendono inefficace questa terapia. Si è reso dunque necessario combattere questa tendenza per garantire una migliore efficacia della terapia. Nello studio di cui sono stati anticipati i risultati di Fase3, Serono ha ottenuto un Interferone 1a che conserva la sua struttura ma riduce sensibilmente la produzione di anticorpi: da 30 al 10 per cento dei casi. Questo risultato non ci autorizza a parlare di miracolo ma ci sembra molto positivo, perché è stato raggiunto nel primo anno di cura». Come è stato affermato al congresso di Bari (e come conferma il professor Comi, un’autorità in materia) le ricerche sulla sclerosi multipla si moltiplicano in tutto il mondo. Più di trenta principi attivi sono in fase di sviluppo. La nuova frontiera è quella che prende in seria considerazione le cause genetiche della sclerosi, multipla. L’Italia è in prima linea, accanto agli Usa e alla Gran Bretagna. L’équipe del professor Comi, al San Raffaele, fa parte del Consorzio europeo che segue questa direzione. Ha studiato finora 400 pazienti (su un totale mondiale di 1500) e conta di presentare i relativi risultati («decisamente interessanti») entro la fine di quest’anno. Gli altri gruppi di studio concluderanno i loro trials nel 2007.

Fino a oggi, l’interferono Beta a1 è il farmaco più impiegato nella cura della sclerosi multipla: combatte la progressione della disabilità, riduce la frequenza delle recidive e il danno mielinico. È sconsigliato ai depressi e a coloro che soffrono di disturbi convulsivi. Dalle ricerche genomiche medici e pazienti attendono nuove, confortanti indicazioni. per combattere più efficacemente una malattia devastante.

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