«È un misfatto che riempie il cuore di indignazione ma soprattutto di dolore. Fa emergere la forza del male nella nostra vita personale e associata». Il cardinale Angelo Scola entra nel tempio civico di via Torino accompagnato dal comandante dei vigili, Tullio Mastrangelo. È la festa di san Sebastiano martire, patrono dei vigili: a lui è dedicata la chiesa. Parla di Nicolò Savarino, lagente di polizia locale ucciso.
Larcivescovo è di ritorno dalla camera ardente di Nicolò, ha parlato a lungo con i familiari, ora si rivolge ai vigili presenti, a tutti coloro che come lui si spendono per consentire alla società di vivere. Offre «grande riconoscenza, «solidarietà e vicinanza per il grave lutto», «sostegno e riconoscimento verso quanti, come voi, servono la vita comune a vantaggio di tutti».
Quando nomina Nicolò, la commozione corre tutto attorno la chiesa strapiena. In prima fila siedono il sindaco, Giuliano Pisapia, il vicesindaco Mariagrazia Guida e lex vicesindaco Riccardo De Corato, lassessore Marco Granelli. Scola chiede di «suscitare uomini capaci di virtù ed edificazione personale e sociale». Il pensiero va allesempio di Nicolò. Parla di «pro-vocazione al cambiamento personale» prima di sollevare lo sguardo sullintera città, su tutta Milano e sullimportanza del suo cambiamento in direzione di «unamicizia civica», di «un essere insieme da scegliere come bene politico», verso «una vita buona». Una città dove la morte di Nicolò, viene da pensare, semplicemente non sarebbe stata possibile.
Milano è anche lei un po caput mundi, «una città come la nostra deve lottare perché cose di questo tipo non si ripetano» e «il cambiamento della metropoli decide per le sorti di tutta lumanità, non solo dellItalia e del mondo».
Non è facile credere al bene quando il male assedia e sembra avere lultima parola, come nel caso del vigile travolto nel tentativo di fare il proprio dovere, dei due clochard uccisi dal freddo («i due uomini di strada», li chiama con delicato realismo il cardinale), delle «vittime della nave Costa». Eppure è il paradosso della fede, che indica ai battezzati («e la stragrande maggioranza della nostra diocesi è composta di battezzati, sacramento che non si scioglie mai») la resurrezione di Cristo «come garanzia per restare lieti nella prova». Il pensiero più confortante davanti alla morte: Gesù è risorto e risorgeremo anche noi.
Scola rilegge la beatitudine appena proposta dal Vangelo: «Vi insulteranno e disprezzeranno a causa del Figlio dellUomo.
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