Politica

«Scomparso» nel deserto rispuntò in una telefonata

Si era arruolato nella legione straniera. La svolta da un’intercettazione: la domestica di famiglia parlava della sua fine

Andrea Acquarone

Trent’anni e un mese dopo Andrea Ghira in qualche modo è tornato. Manca un giorno a Halloween, festa delle streghe e dei fantasmi di chi non c’è più, e lui per ora si «fa vedere» da spettro. Coincidenze, strani incroci del destino. Dicono che sia defunto, sepolto in un’enclave spagnola in Marocco: dal 1975 - era l’ultimo fine settimana di settembre - di questo mostro con la faccia da bravo ragazzo annoiato, non si sapeva più nulla. Sparito, nebulizzato eppure presente nelle memorie come un incubo che nemmeno il risveglio riesce a scacciare.
Donatella Colasanti lo sa bene. Vive ancora all’Eur, ma l’orologio della sua esistenza sembra essersi fermato a quelle 36 ore di trent’anni fa. Aveva 17 anni all’epoca, come la sua amica Rosaria Lopez, quando sulla sua strada incontrò due ragazzi un po’ più grandi che giocavano a fare i «fascisti». Uno si chiamava Angelo Izzo, l’altro Gianni Guido. Le invitarono a un party ma la festa, in realtà, l’avevano progettata per loro. Una festa omicida, in una villetta del Circeo. Andrea Ghira, un fuscello di 64 chili, attaccati al suo metro e ottanta d’altezza, era il terzo della banda. Forse anche il più fanatico. Aveva 24 anni e si faceva chiamare «Jacques», il nome di Berenguer, spietato bandito del clan dei marsigliesi.
Le due vennero picchiate, narcotizzate, chiuse in bagno e violentate a morte. Rosaria finì annegata nella vasca da bagno mentre la stupravano: Donatella sopravvisse. Fingendo di non respirare più mentre la massacravano. Si fermarono in un altro appartamento a cenare prima di disfarsi dei corpi i tre assassini. E questa fu la salvezza di Donatella. Chiusa nel bagagliaio di una Fiat 127, con accanto il cadavere dell’amica, riuscì a farsi sentire da una guardia notturna.
Izzo e Guido furono arrestati nel giro di ventiquattr’ore, «Jacques» non fu mai catturato. Fuggì, probabilmente «aiutato» dalla facoltosa famiglia - sospettano gli investigatori -, riparando all’estero. E venne condannato in contumacia: ergastolo, come per il complice Angelo Izzo; 30 anni invece a Gianni Guido. In cella, tuttavia, Ghira non ha trascorso un giorno. Fu avvistato in mezzo mondo il suo «fantasma»: in Argentina, in Kenya, in Spagna, in Nordafrica e nella stessa Roma. Ora si scopre che Ghira si nascondeva sotto l’uniforme di un soldato di ventura, caporal maggiore nella «bandera del Tercio de Extranjeros», la legione straniera spagnola. La stessa comandata negli anni ’20 dal dittatore Franco. Aveva cambiato identità, come si conviene a uno che deve chiudere i conti col passato. Per i commilitoni era Massimo Testa e con questa identità sarebbe stato sepolto l’11 aprile del 1994 nell'enclave spagnola di Melilla, in Marocco. Morto per overdose, a 44 anni, un anno dopo essere stato espulso dalla Legione. Gli investigatori italiani sembrano certi che si tratti proprio di lui.
Donatella Colasanti invece, lo spettro, lo vede ancora ma in carne e ossa. «È l’ennesimo tentativo di depistaggio - si dispera ai microfoni -. Nel 1995 è stato visto a Roma, dunque era vivo ed è qui che bisogna cercarlo». Scetticismo legittimo quello della Colasanti. Soltanto da qualche mese, ovvero da quando il duplice omicidio commesso da Izzo a Campobasso aveva riacceso i riflettori sui tre del Circeo, la caccia a Ghira aveva ripreso impulso. A cominciare dalle intercettazioni telefoniche nei confronti dei suoi familiari. Il cui ruolo è ancora tutto da decifrare, come nel più classico dei gialli.
Ecco una conversazione «rubata» alla cameriera di casa Ghira, Gavina P. La donna al telefono parlava ad un’amica dei genitori del latitante: «Loro non lo dicono... ma è morto. È morto in Spagna». E sulla madre del ricercato: «Lei l’ha sempre aiutato mandandogli i soldi. Ha cambiato nome... è morto col nome di un altro». E poi l’intercettazione di una conversazione della cognata di Ghira con un’amica. Che le dice: «Dovete trovare il modo di fa’ sapè in qualche modo la verità...».
Certo, anche questo, se si sapesse di essere ascoltati potrebbe essere un tentativo di depistaggio.

Ora potrà essere solo l’esame del Dna a dire se il morto è tornato.

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