RomaIl voto in religione entrerà nel computo dei crediti. Il profitto in religione verrà conteggiato ai fini della valutazione complessiva degli studenti, ovviamente soltanto di quelli che hanno scelto di frequentare questa materia. Quindi i docenti di religione parteciperanno agli scrutini finali e la loro valutazione concorrerà all’attribuzione dei crediti come accade per le altre materie.
Questa volta a confermarlo è il Consiglio di Stato. Evidentemente il massimo organo amministrativo non ritiene discriminatorio valutare il profitto in religione anche se molti studenti scelgono di non frequentarla.
È lo stesso ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, a rendere noto che il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dal governo nei confronti della sentenza del Tar che poco meno di un anno fa aveva escluso il voto di religione dal computo dei crediti formativi e di conseguenza anche gli insegnanti di religione dagli scrutini finali.
I giudici amministrativi del Lazio avevano preso questa decisione per rispondere a una serie di ricorsi avanzati da studenti supportati da associazioni laiche o di altre confessioni religiose. La sentenza del Tar definiva illegittimo includere fra le materie che concorrono al voto finale anche la religione. Tale inclusione, avevano scritto i giudici, era da ritenere «discriminatoria» perché «lo Stato italiano non assicura la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni o per chi dichiara di non professare alcuna religione, in etica morale pubblica».
Una sentenza subito contestata dal ministro Gelmini che aveva annunciato la volontà di fare ricorso al Consiglio di Stato. Non solo. Il ministro aveva comunque emanato un regolamento che prevedeva la riammissione dei docenti di religione, estromessi dalla sentenza del Tar, al computo del credito e quindi anche la loro partecipazione agli scrutini a parità con gli altri insegnanti.
Sia la decisione del Tar sia la presa di posizione del ministro avevano scatenato feroci polemiche. La Conferenza episcopale aveva stigmatizzato l’ordinanza del Tar definendola frutto «di un bieco illuminismo che vuole la cancellazione di tutte le identità». Il ricorso del ministro invece aveva scatenato le critiche dei laici di maggioranza e opposizione e anche di rappresentanti di altre confessioni religiose che avevano accusato il ministro di agire per dare seguito ai «diktat» della Cei. Ora la decisione del Consiglio di Stato rafforza la scelta del governo, sostenendone le ragioni di equità.
«Il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimità delle ordinanze nelle quali si stabiliva che ai fini dell’attribuzione del credito scolastico, determinato dalla media dei voti riportata dall’alunno, occorreva tener conto anche del giudizio espresso dal docente di religione - dice il ministro -. Il Consiglio di Stato ha stabilito che, nel caso l’alunno scelga di avvalersi di questo insegnamento, la materia diventa per lo studente obbligatoria e concorre quindi all’attribuzione del credito scolastico».
Il Consiglio di Stato giudica ragionevole la decisione del ministro che riteneva essere discriminatoria l’ordinanza del Tar che determinava «un ingiusto danno» per chi sceglieva di frequentare l’ora di religione. L’insegnamento della religione cattolica concorre infatti ai crediti formativi come la frequenza a corsi di lingue o corsi sportivi o ad esempio la partecipazione ad attività di volontariato e a rappresentazioni teatrali.
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