Scontri nella notte a Budapest, 150 feriti

Alle quattro del mattino la polizia riprende il controllo della situazione con la forza. Il premier: non mi dimetto. Opposizione ancora in piazza

Roberto Fabbri

Diecimila manifestanti all’esterno del Parlamento ungherese, tremila nella piazza Szábadsag dove ha sede la televisione di Stato. Un cocktail esplosivo, che nel cuore della notte tra lunedì e ieri puntualmente è esploso: alle quattro la folla inferocita con il premier socialista Ferenc Gyurcsany ha dato fuoco a diverse auto e ha assaltato l’edificio dell’emittente Tv nazionale, devastando parte delle strutture prima che la polizia li respingesse riprendendo il controllo della situazione con l’uso di idranti e lacrimogeni. Alla fine degli scontri, i più gravi in Ungheria dalla caduta del comunismo nel 1989, si sono contati 150 feriti.
Malgrado questo caos incredibile in una capitale europea il capo del governo, sotto accusa da parte dell’opposizione di centrodestra dopo la diffusione di un nastro in cui ammette a chiare lettere di avere ingannato gli ungheresi con false promesse per vincere le elezioni, non ha alcuna intenzione di dimettersi. Con il suo tipico stile secco, Gyurcsany ha detto: «Ho passato tre minuti a pensare se fosse il caso di dimettermi, e ho deciso che non ce n’è alcuna ragione». Forte del sostegno ricevuto dal partito socialista europeo (Pse), il premier ha dunque respinto le dimissioni del ministro della Giustizia Józef Pétretei, responsabile delle forze dell’ordine, e ha dato mandato di «usare ogni mezzo per ristabilire l’ordine».
Anche il Parlamento di Budapest, dove siedono i rappresentanti di cinque partiti politici, ha votato pressoché all’unanimità (due soli voti contrari e due astensioni su 300) un documento nel quale si condannano le recenti violenze di piazza nella capitale e si rivolge un invito alla popolazione per il ritorno alla calma.
Questo non significa che le ragioni che hanno provocato proteste così accese a Budapest siano venute meno. Al contrario. Ancora oggi cinquecento manifestanti si sono riuniti davanti al Parlamento con una bara bianca, augurio di fine imminente per il governo. Si tratta di manifestazioni spontanee, che originano dal «popolo anticomunista» che in Ungheria ha spesso connotazioni nazionaliste e tradizionaliste e che vede Gyurcsany (qualificato con disprezzo come «il socialista di lusso») come il fumo negli occhi, e più che mai dopo la diffusione del nastro nel quale ha ammesso di aver consapevolmente ingannato gli ungheresi.
Ma dietro la rabbia popolare ci sono anche, a vario titolo, formazioni politiche organizzate: va ricordato che il 1° ottobre si terranno in Ungheria cruciali elezioni amministrative e che le polemiche accendono l’attenzione e portano voti. Il partito conservatore Fidesz (membro del Ppe) chiede con il suo leader, l’ex premier Viktor Orban, le dimissioni di Gyurcsany in caso di sconfitta elettorale, e così fa il suo piccolo alleato in Parlamento, il Forum democratico ungherese: i sondaggi danno Fidesz al 34% e i socialisti al 23%. Sul fuoco soffia anche, con metodi meno ortodossi, il movimento di estrema destra Jobbik, che predica una «rinascita cristiana dell’Ungheria» senza disdegnare metodi maneschi.
Al di là dell’ostentata sicurezza le prospettive di Gyurcsany appaiono incerte.

Il 43% degli ungheresi, secondo un sondaggio, pensa che dovrebbe dimettersi subito, ma un 47% è di diverso avviso. Se le proteste dovessero continuare, tuttavia, la posizione personale del premier potrebbe diventare insostenibile e il suo stesso partito potrebbe decidere di sacrificarlo.

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