Cultura e Spettacoli

Gli scontri tra rossi e neri visti con gli occhi di due fratelli

Luchetti: «Mio fratello è figlio unico» è una storia di famiglia colma di nostalgia

da Roma

Metti gli attori più amati del momento e i temi più spinosi del dibattito politico-culturale. Per tanti anni il cinema italiano ha fatto il contrario, e adesso invece esce un film (venerdì), Mio fratello è figlio unico, di Daniele Luchetti, che prova ad affrontare tutti insieme il ’68, il conflitto in famiglia, la guerra civile fra rossi e neri affidandosi al volto da bel tenebroso di Riccardo Scamarcio e ai tic di Elio Germano.
Il film nasce da un libro - e che libro -, lo scoppiettante Il fasciocomunista pubblicato nel 2003 da Antonio Pennacchi. La storia è quella di un triangolo: ci sono due fratelli che sono come due opposti e crescono insieme nell’Italia degli anni Sessanta. Scamarcio è Manrico: extraparlamentare di sinistra, operaio per scelta, contestatore, amatore di donne e di folle. Germano è Accio, un fratello minore che si sente schiacciato dal confronto, ama il latino, cresce in seminario, si iscrive al Movimento sociale suggestionato dal nostalgico venditore ambulante Luca Zingaretti e dalla città in cui vive, una Latina segnata dalla memoria del Ventennio. Miscela esplosiva. Se non altro perché nello stuolo di adoratrici e fidanzate di Manrico ce n’è una che piace ad Accio (la solare Diane Fleri). La famiglia Benassi è povera, vive in un appartamentino striminzito, c’è anche una terza figlia, Violetta (lei è femminista militante e innamorata del prof di filosofia, marxista) e tanto Manrico è prediletto e benvoluto da tutti, quanto Accio viene disprezzato per la sua scelta politica. Racconta Luchetti: «Quando avevo letto Il fasciocomunista ero stato catturato dal tono scanzonato; ho guardato tutto quel mondo con affetto, anche il personaggio di Accio, il più distante da me. Ho voluto raccontare una storia di famiglia, una commedia, ma anche una nostalgia per anni in cui i discorsi ideali erano parte importante della società».
La trama non è priva di colpi di scena, quello che si può raccontare, ovviamente, è quello che dà il titolo al libro, ovvero il repentino passaggio di Accio dalla sua militanza a destra alle posizioni politiche del fratello. E la contemporanea migrazione di quest’ultimo, dalla posizione di ribelle di sinistra, a quella di proto-terrorista. La guerra civile in famiglia è affidata ad alcune memorabili schermaglie dialettiche: «A noi almeno la dittatura ci è riuscita - grida Accio alla ragazza del fratello, rossa anche lei, che vuole sedurre -, a voi ve piacerebbe, ma non c’avete er core». Ed ovviamente il film colpisce per la spensieratezza con cui è recitato, «ho girato spesso con la telecamera a spalla - racconta Luchetti - non per qualche vezzo stilistico, ma perché volevo cogliere questo tratto di spontaneità».
Certo, Scamarcio è Scamarcio, e ogni volta che guarda in camera buca lo schermo, e in conferenza stampa conferma l’immagine di divo: «Non so bene che dire, oggi mi sono svegliato tardi... ». Oppure: «Magari il mio prossimo film sarà una cagata pazzesca», con una reazione ironicamente indignata di Tozzi: «Veramente anche il prossimo film lo fai con noi... ». In realtà, Mio fratello è figlio unico (titolo di una canzone di Rino Gaetano che nel film non si sente mai) farà discutere soprattutto per la rappresentazione di un’Italia politica da cui il cinema si è sempre tenuto distante. «Un personaggio come Accio - spiega ancora Luchetti - quindici anni fa sarebbe stato raccontato come un mostro». Ed è vero, visto che perfino il protagonista, Germano, dice che ha dovuto fare uno sforzo «per non dare un giudizio su un personaggio che consideravo un figlio di puttana». Il pregio del film sono alcune trovate che rendono il clima del tempo, straordinaria quella del concerto su Beethoven «defascistizzato» organizzato da Manrico-Scamarcio, dove i versi dell’Ode alla gioia, considerati apologia del Terzo Reich, sono sostituiti da un coro marxisticamente corretto le cui parole sono solo «Mao Mao Mao». Da La meglio gioventù a La peggio gioventù, la cosa buffa è che gli autori della sceneggiatura, Petraglia e Rulli, e il produttore, Tozzi, sono gli stessi.

Quest’ultimo aggiunge duro: «Il film è coprodotto e distribuito da Warner, un modo di spaccare il duopolio Rai Cinema e Medusa».

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