Scontro tra i Poli sul referendum «Un Sì contro i comunisti di Prodi»

Berlusconi: «Il 25 giugno bisogna dare una lezione a questo governo che sfila con centri sociali e gay». Il Professore: «Vuole rovinare la Costituzione»

Adalberto Signore

da Roma

Nel giorno in cui Giorgio Napolitano auspica «un’intensa partecipazione» al voto di domenica e lunedì, sul referendum costituzionale continua senza indugi il muro contro muro tra maggioranza e opposizione. Al punto che pure i sondaggisti registrano più di una difficoltà nel fare previsioni sull’esito del voto, visto che la proporzione tra i «sì» e i «no» coincide esattamente con la divisione tra Unione e Casa delle libertà registrata alle ultime Politiche. Stando ai rilevamenti di voto degli ultimi giorni, insomma, la partita parrebbe apertissima, con una forbice di neanche un punto percentuale tra «sì» e «no». Il problema, dunque, sarà proprio l’affluenza alla urne, con lo schieramento che porterà più elettori al voto destinato di fatto a prevalere. Ed è forse per questa ragione che Silvio Berlusconi torna a ribadire che il referendum può essere «un’occasione per dare una lezione al governo Prodi». Il leader di Forza Italia non usa mai la parola «spallata» ma ammette che il voto di domenica e lunedì ha ormai «acquistato un valore politico». Bisogna «dire “s씻, spiega, «per dire “no” al governo Prodi» che ha «undici ministri comunisti», alcuni dei quali «vanno in piazza assieme ai centri sociali e agli omosessuali» e dire “no” a una maggioranza «che mette ex terroristi a capo delle commissioni parlamentari». La replica di Romano Prodi non si fa attendere. «Berlusconi - dice il premier - è pronto a rovinare la Costituzione pur di dare una lezione ad un governo che non gli piace».
E lo scontro tra i leader dei sue schieramenti, solo blandamente mitigato dall’appello del capo dello Stato, è l’immagine di una campagna referendaria che al di là di qualche rituale apertura resta caratterizzata dallo scontro frontale. Con qualche piccola incrinatura qua e là, se qualche giorno fa Berlusconi confidava ai suoi tutte le sue perplessità per la scelta di Pier Ferdinando Casini di non apparire sui manifesti per il «sì»: «Berlusconi, Fini e Cesa. Cesa, capito? Ma cosa vuoi che sappia la gente chi è questo...». E non deve essere un caso se ancora ieri i dirigenti più in vista dell’Udc si sono ben guardati dall’esporsi (con l’eccezione di Erminia Mazzoni).
La Cdl, intanto, continua a lavorare per il «sì». Con i giovani del centrodestra (Simone Baldelli per Forza Italia, Giorgia Meloni per An e Paolo Grimoldi per la Lega) che inscenano una sorta di rappresentazione della riforma nella piazza davanti a Montecitorio dove sistemano 177 sedie vuote, tante quanto sarebbero i parlamentari in meno se passasse la riforma. E il deputato azzurro Antonio Palmieri che su Internet mette su il Comitato per il «sì» con il record di adesioni (7.700 in 48 ore). Da Forza Italia, poi, arrivano grandi apprezzamenti per l’appello di Napolitano. Da Sandro Bondi («ma Prodi non raccoglierà») a Elio Vito («sbugiardato il falso meridionalismo della sinistra»). Sintetizza Benedetto Della Vedova: «L’unico punto di unità dell’Unione resta sempre il “no”, che sia ad una buona riforma costituzionale o alla Tav poco importa». «Se vince il “sì” - dice il senatore Giuseppe Pisanu - siamo pronti a discutere correttivi».
E disponibile sembra anche la Lega. Con Umberto Bossi che, intervistato da Famiglia Cristiana, torna sulle affermazioni sulle «altre vie». «Quella del Nord», spiega, «è brava gente» e «non prenderebbe mai il fucile». E la vittoria del «sì» significherebbe che «chi voleva fermamente la via democratica è stato premiato». Apre Roberto Calderoli che accoglie l’appello di Napolitano a ridiscutere le modifiche dopo il voto. «La riforma - dice - è una mano tesa per tutti: per le genti del Nord, del Centro e del Sud.

È un catalogo di diritti e doveri universale, è la riforma di tutti i cittadini». Da An arriva il plauso di Domenico Nania, mentre Ignazio La Russa (come l’azzurro Aldo Brancher) si dice convinto che con il “no” «le riforme sarebbero sotterrate».

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