Scontro via mail tra colonnelli

nostro inviato a Palermo

Il dilemma è di quelli che definiscono l'identità di un partito. Ci si deve sporcare le mani con la piazza, si deve portare la lotta politica anche fuori dal Parlamento oppure si deve segnare fisicamente un distacco dal proprio elettorato per non incappare nel virus del populismo? Dell'argomento i partiti discutono in pubblico.
Ma i dirigenti dell'Udc si confrontano anche in privato, in una piccola disfida via e-mail che rende bene l'idea di certe perplessità che corrono sotto pelle. La scintilla è il messaggio inviato da un militante deluso. Una bacchettata elettronica che recita così: «Cari Onorevoli, ad aprile vi ho dato il mio voto per mandarvi al governo o all'opposizione. Allora OPPONETEVI anziché perdere tempo in inutili teatrini perché questo è il mandato che vi è stato dato. In caso contrario mi vedrò costretto a volgere il mio orientamento verso Destra». Della risposta decide di farsi carico un dirigente di peso dell'Udc protagonista della Prima repubblica come Calogero Mannino. «Caro Amico, ogni opinione deve fondarsi sui fatti. E non se ne trova uno nei comportamenti parlamentari dei senatori e deputati dell'Udc che sia stato di debolezza o compiacenza verso il governo Prodi. Di altri sono state le assenze. Il nostro modo di fare opposizione è efficace perché si svolge con toni e contenuti propri di un partito che vuole essere l'alternativa anche al modo piazzaiolo e rissoso, di chi non avendo argomenti concreti, urla. Sulla piazza stanno bene coloro che vengono dalla piazza. L'Udc viene da una grande tradizione politica. De Gasperi e Moro non sarebbero mai andati in piazza. Il populismo non sta nel dna dei popolari».
La controreplica, sempre via mail, arriva dallo stesso Carlo Giovanardi a cui la tesi della Dc come partito impermeabile alla piazza non va proprio giù. «Caro Amico, non mi trovo d'accordo con Mannino su alcune sue affermazioni un po' elitarie e aristocratiche tipo: “Sulla piazza stanno bene coloro che vengono dalla piazza”. Da quando, a 18 anni, mi sono iscritto alla Dc, mi hanno sempre particolarmente colpito i racconti degli anziani sulle grandi battaglie politiche degli anni '40 e '50, le guerre dei manifesti, i comizi volanti, le piazze stracolme di migliaia di persone quando De Gasperi e gli altri leader incontravano gli elettori. Poi c'e stata la triste stagione della gestione del potere e dei comportamenti disinvolti. Ma pensare che i milioni di persone che hanno voglia di partecipare alla politica non possano esprimere festosamente questo loro desiderio è un gravissimo errore, che assomiglia di più al modo di pensare del Pri di Ugo La Malfa per il quale facevano il tifo imprenditori, intellettuali e giornalisti e alle elezioni pigliava il 3% mentre la Dc prendeva il 40%.

Se negli anni '70 e '80 avessimo avuto meno presidenti di banca, meno consiglieri di amministrazione ma qualche militante in più disposto a testimoniare pubblicamente la sua fede politica, forse non avremmo fatto la fine che abbiamo fatto nel '94».

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