SCOPERTA A BOSTON

Ci sono tutti gli elementi per un avvincente art thriller, sottogenere della numerosa «famiglia»... in giallo, destinato a conquistare una bella fetta di mercato. Dunque, abbiamo il prestigioso museo che rivela di avere per le mani un’opera assolutamente inedita e sconosciuta di un grandissimo autore, fra i maggiori in assoluto dell’universo mondo. Abbiamo poi un museo concorrente del primo che si morde le mani, roso dall’invidia per il colpaccio altrui. Abbiamo quindi la classica batteria di esperti, critici e storici assortiti i quali, appresa la notizia, reagiscono coprendo tutta la vasta gamma di dichiarazioni: dall’entusiasta allo scettico. E, naturalmente, abbiamo anche i fiumi di dollari (sì, siamo negli Stati Uniti) pronti a finire nelle casse del museo numero uno, versati da torme di visitatori attirati dalla «primizia».
Manca una cosa sola, e malauguratamente è la cosa più importante: la suddetta «primizia». Che, nello specifico, sarebbe, il condizionale è d’obbligo, nientemeno un quadro di Leonardo da Vinci.
I fatti, nudi e crudi (più crudi che nudi, in assenza del corpo - del reato?) sono presto detti. Il Washington Post pubblica, in data 31 dicembre, un’articolessa il cui succo è il seguente: una fonte, ovviamente anonima, ci fa sapere che il Museum of Fine Arts di Boston sta sottoponendo a un approfondito check-up un dipinto del genio toscano, che sarebbe il secondo presente sul suolo statunitense, dopo la Ginevra de’ Benci esposta alla National Gallery di Washington. Stop. Certo, l’articolessa prosegue per oltre cento righe. Ma sono righe che nulla aggiungono alla bomba (o al petardo) scoppiata a fine anno nei salotti culturali di mezzo mondo. Frederick Ilchman, curatore della sezione rinascimentale del museo, si trincera dietro un gentile ma fermo «no comment». Katie Getchell, deputy director del medesimo, idem con patate, nel senso che aggiunge soltanto che l’eventuale acquisto «è ancora da valutare». Da parte sua un altro esperto di pittura rinascimentale, Miguel Falomir Faus, mette un po’ di pepe su una bistecca che, almeno per ora, non esiste, affermando di aver pranzato pochi giorni fa con Alex Nagel, docente di Storia dell’arte alla New York University, il quale gli avrebbe genericamente parlato di un «nuovo Leonardo». «Però - aggiunge Falomir Faus - io l’opera non l’ho mica vista». E Nagel? Nagel men che meno. Fa lo spiritoso: «Come posso commentare ciò che non ho visto? Per caso voi ne avete una foto?».
Insomma, in attesa che qualcuno venga allo scoperto, mettendo sul tavolo le carte vincenti o smascherando un bluff, l’art thriller leonardesco, dopo una paginetta scarsa, è già arrivato a un punto morto. Ci vorrebbe un colpo di scena. Noi non siamo in grado di rimpolpare la scarna sceneggiatura. Tuttavia possiamo, come faceva il mitico tenente Colombo, riannodare un paio di fili pendenti che hanno, come comuni denominatori, proprio gli Stati Uniti e il nostro Leonardo da Vinci.
Il primo filo pendente risale al 1919, ed è stato peraltro utilizzato da John Brewer per scrivere un bel libro non catalogabile come art thriller, ma come art comedy, dal titolo Ritratto di dama. Il dipinto conteso di Leonardo (Rizzoli, 2009). Al centro di tutto è un bellissimo dipinto, una copia quasi perfetta della cosiddetta Belle Ferronnière di Leonardo, conservata al Louvre. L’opera, appunto nel 1919, venne portata in dote dalla giovane Andrée, discendente di una nobile famiglia francese decaduta, al soldato americano Harry Hahn. Con il ricavato della vendita sul mercato statunitense, ragionarono gli sposini, possiamo metter su casa, e quasi quasi vivere di rendita. Ma il terzo incomodo, impersonato da Joseph Duveen, il più autorevole esperto d’arte dell’epoca, infranse il sogno della coppia: quella roba non è di Leonardo. Il processo che ne seguì occupò per anni le prime pagine dei giornali, senza che la Ferronnière numero 2, a tutt’oggi, sia definitivamente «promossa» o «bocciata». Un risultato, però, la vicenda dei coniugi Hahn lo ottenne. Anzi due: da un lato si è strappato il velo dietro cui si celavano i «giochetti» di molti critici d’arte Usa, pronti a concedere expertise positive al... miglior offerente, dall’altro (e questa, se vogliamo, è la pars destruens della storia), per un bel po’ anche la Ferronnière parigina fu revocata in dubbio.
Il secondo filo pendente, invece, ci porta indietro di tre mesi scarsi. È il 13 ottobre scorso quando si apprende che un dipinto in gesso e inchiostro di piccole dimensioni, 33X24 centimetri, raffigurante una bella ragazza di profilo, è stato attribuito a Leonardo grazie a un’impronta lasciatavi dall’artista. Impronta in tutto simile a quella, certamente leonardesca, presente sul San Girolamo dei Musei Vaticani. È Martin Kemp, professore emerito di Storia dell’Arte all’Università di Oxford, ad aver pescato il jolly, insieme all’esperto d’arte canadese Peter Paul Biro. Ebbene, quell’opera era stata venduta da Christie’s a New York (ecco rispuntare gli Stati Uniti) nel 1998 per soli 19mila dollari, poiché allora la si credeva niente più che un lavoretto di routine di un tedesco dell’Ottocento. Mentre, dopo l’intervento della coppia Kemp-Biro, il suo prezzo si è alzato fino a 150 milioni di dollari...
Ora, un art thriller non è una favola, e dunque non può, né forse deve, avere una morale.

Ma i due fili di cui sopra, che magari qualcuno si prenderà la briga di seguire, cercando indizi sul fantomatico «nuovo» Leonardo del Museum of Fine Arts di Boston, da soli, ci dicono qualcosa sulla gestione della grande arte in tutto il mondo. E anche su come funziona il marketing connesso agli eventi museali. Chissà se il grande vinciano, dal paradiso dove riposano i geni, vede e apprezza i maneggi dei suoi interessati ammiratori?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica