Scordatevi Aretha, ormai le voci nere sono troppo bianche
10 Aprile 2007 - 03:04Leccezione è Macy Gray, tornata tra noi con un album nuovo, Big. Figlia tardiva dun mondo che non ha più corso, se non per carsici ritorni di moda, Macy insiste a parlarci di soul nel senso che un tempo sattribuiva al termine, prima che il mercato lo snaturasse costruendovi sopra unarcadia di motivetti abboccabili e vocine garbate. Alla quale lei, indomita, oppone la sua voce sfilacciata, il suo stile da suburra, il suo fraseggio selvatico.
Poi ci sono gli emuli, che lhit parade si contende a colpi di dischi doro: la Norah Jones di Not too later, la Joss Stone di Introducing, lAmy Winehouse di Back to black, un titolo un programma. E ancora Stay, ultimo carezzevole manufatto dei Simply Red di Mick Hucknall, detto il rosso ma niente paura, è per via del colore dei capelli. Sono gli abatini e le monacelle di quello che il mercato dellintrattenimento intende, oggi, per black music: soul al cioccolato, sì, ma con tanto latte, nata dalla testa più che dal ventre, accomodante e ibrido. Quello insomma che espugna più facilmente le classifiche e stimola il mimetismo di tanti cantanti nostrani, convinti che cantare alla negra costituisca un quarto di nobiltà in più, un merito a prescindere. Anche se non sta scritto da nessuna parte, che per un cantante di Catania o di Pordenone, essersi formato sul modello di Aretha Franklin anziché su quello di Celentano sia di per sé una virtù. È lennesimo frutto di quella sindrome coloniale che affligge noi italiani, nei confronti della cultura e della subcultura americane, fin dal dopoguerra - sindrome attizzata dalle multinazionali con laiuto dun giornalismo e di una radiofonia sempre più embedded. Tantè che quando, anni fa, Giorgia vinse il festival di Sanremo, il maggior merito che le fu accreditato non fu davere una bella voce, ma davere una voce «nera». Così come accade al catanese Mario Biondi, star emergente del soul nostrano, celebrato, più che per i meriti artistici, per la somiglianza timbrica con Barry White. Del resto «quando è moda è moda», cantava Gaber che le mode, vivaddio, le coltivava poco. E allora avanti tutta con i nuovi eroi del soul vero o presunto. In testa la sguaiata, vissuta, viscerale, insomma lei sì autenticamente «nera» Macy Gray che, potete scommetterci, sopravviverà anche quando la moda del finto soul sarà tramontata. E poi Norah Jones che è figlia del sommo sitarista Ravi Shankar, il Bach della musica indiana, e mescola linnata vocazione allelegia con unadeguata educazione quasi-jazz e quasi-soul. Poi Joss Stone, diciannove anni, nuda e tatuatissima, tra le braccia dun giovanottone nudo e tatuatissimo, sulla copertina del suo terzo cidì, che intreccia archi sinfonici e seduzioni soul-funk. E lultima arrivata Amy Winehouse, inglese, fisico da teenager e voce da veterana del gospel: un talento sornione, in bilico tra sogghigno e calibrata selvaggeria, piglio «vissuto» e sensualità quasi sbarazzina.
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