Scrittore e (presunto) killer La doppia vita di Boris Vian

Scrittore e (presunto) killer La doppia vita di Boris Vian

da Parigi

Nel 1959, Boris Vian fu ucciso da Vernon Sullivan, il più incredibile caso di omicidio-suicidio-resurrezione della letteratura. Nella seconda metà degli anni ’40, scritto e fintamente tradotto dal primo, ma firmato con il nome del secondo, era uscito un romanzo giallo di scuola americana, J’irai cracher sur vos tombes, Sputerò sulle vostre tombe. Era la storia di un killer negro-bianco che aveva morte, sesso e violenza come laica trinità. Vian non era mai uscito dalla Francia, per non dire dall’Europa, ma aveva facilità per le lingue e una fidanzata che sapeva bene l’inglese, a guerra finita si era trasformato in una sorta di cicerone per militari e intellettuali anglosassoni in giro e in cerca di Saint Germain-des-Prés, era un patito del jazz e un lettore dell’hard boiled alla Chandler e alla Chase.
Il romanzo ebbe un successo clamoroso, tanto quanto fallimentari risultarono quelli che, più o meno in contemporanea, apparivano con il suo vero nome e lo stesso Vian si trovò come prigioniero di questo suo eteronimo. A completare il quadro, ci si mise un assassino reale, strangolatore della propria amante in un albergo a ore. Sul letto, a fianco del cadavere, la polizia aveva trovato una copia di J’irais cracher sur vos tombes e la stampa si era scatenata: e se il vero killer, almeno come mandante morale, fosse stato l’autore del libro? E se questi non fosse stato altro che il suo traduttore?
All’inizio degli anni ’50, l’accoppiata Vian-Sullivan sembrò esaurirsi. Il primo continuava a non vendere una copia, l’ultimo romanzo del secondo, Elles se rendent pas compte, poche centinaia, dopo che processi e polemiche avevano contribuito a minare la salute, la reputazione e il portafoglio dell’inventore di quella doppia identità. Aveva il cuore fragile, Boris, fin dall’infanzia, e questo trasformava in rischio persino il suo suonare la tromba per quel jazz tanto amato. Sembrava anche lui un negro-bianco, pallido e fragile, ma il pubblico lo intimidiva e sulla scena la sua timidezza aveva qualcosa di gelido. Decise allora che forse il cinema avrebbe potuto riportare in vita quel successo clamoroso degli esordi, e cominciò a lavorare a una sceneggiatura di J’irai cracher sur vos tombes. Vendette i diritti, pasticciò sui contratti, il film alla fine si fece, regia di Michel Gast, con Christian Marquand e Antonella Lualdi interpreti principali, ma non era quello che lui avrebbe voluto e intanto il produttore aveva deciso di fare a meno della sua collaborazione. Dopo molte esitazioni, andò comunque alla proiezione privata prevista per la sera del 23 giugno 1959. Un infarto se lo portò via in platea, e ci fu chi disse che Lee Anderson, il killer del film e del romanzo, era il colpevole di quella morte... Negli anni successivi, la fama di Vian sarebbe andata alle stelle e il suo alter ego Sullivan ridotto a puro gioco d’invenzione.
La mostra «Boris Vian» (a cura di Anne Mary, Bibliothèque National de France, catalogo Gallimard, fino al 16 gennaio) racconta questo incredibile caso e molto altro ancora, perché Vian fu paroliere, cantante, musicista, direttore artistico, autore di teatro e di cabaret, giornalista. Fotografie, manoscritti e prime edizioni, copertine di dischi, manifesti cinematografici, illustrano una personalità complessa, discreta e ribelle, allegra eppure malinconica, nella consapevolezza di un’esistenza condannata a essere breve.
Da quella morte, più di mezzo secolo fa, periodicamente ci si interroga sulla legittimità del suo successo postumo e sulle ragioni del continuo interesse che a ogni generazione si rinnova. Chi lo considerava un fenomeno di moda degli anni ’60, nei ’70 lo collegò a una certa ondata protestataria (Le deserteur era una delle sue canzoni pacifiste più famose) e negli ’80 a una componente ludica e insieme pedagogica... La realtà è che quando un autore dura così tanto nel tempo possiede un accento senza tempo, quindi sempre e comunque riconoscibile. Dei suoi romanzi mai apprezzati finché visse, L’écume des jours resta un grande libro, così come L’arrache-coeur, mentre Vercoquin et le plancton vale ancora come testimonianza di un’epoca; le sue canzoni hanno segnato compositori come Gainsbourg, interpreti come Serge Reggiani e Henri Salvador; la sua attività di critico musicale, e più in generale di cronista-protagonista dell’esistenzialismo del secondo dopoguerra, resta esemplare.

In meno di quarant’anni di vita, Vian passò come una folgore e sparò tutti quanti i fuochi d’artificio che aveva a disposizione, ben sapendo che non ci sarebbe stato tempo per esplosioni successive. Da alcuni emana ancora l’aura geniale di un’esistenza consapevolmente bruciata.

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