Prendersela con Roma è più di un vizio. È una battuta. Fa ridere perché è una esercitazione (e non sport) nazionale, antica quanto il motto: «Piove? Governo ladro!». Questa è una città dove tutti vengono a manifestare, protestare, scioperare. È un calendario di santi e rivendicazioni sindacali. Ti svegli e sai già che c'è il caos. Cammini e trovi una folla che si lamenta. I romani si abituano e si sono inventati i motorini.
Infatti, a parte i problemi endemici, se cadono due gocce non è che aumenta il traffico per la pioggerellina, bensì è il traffico che fa venire giù il finimondo. Se un semaforo va in tilt, in tre minuti circola voce che la città è bloccata; se i turisti non arrivano è meglio chiudere bottega, ma se sono in molti: «Che casino, non se ne può più. Sono truppe da sbarco sulle strisce pedonali. Mangiano il panino e buttano
».
Roma è una carta moschicida, anzi, il termometro sotto l'ascella di chi la vuole cotta e cruda e non si ricorda che la città eterna quando deve mettersi in punta di piedi, perché la Storia la chiama a voce alta, sa farlo meglio di una ballerina del Bolshoi. E così sarà nel giorno della Beatificazione di Karol Wojtyla.
Avevo annusato l'andazzo delle critiche ieri l'altro in tassì. Ivan aveva preso a lagnarsi che il Papa in fondo avrebbe potuto aspettare una settimana. «Tanto che ploblema c'e?», mi dice il tassista. «Era meglio festeggiare il 1 Maggio e dopo farlo Beato. Ora te lo immagini che cosa succede? Ci conviene scappare».
Lo ascoltavo e con la mente sono tornato al giorno dei suoi funerali, l'8 aprile del 2005. Fu un giorno indimenticabile. Ripresi a passeggiare per Roma come fossi un romano del milleseicento, quando la città contava occhio e croce centomila unità. Presi a trottare lento da via Prenestina fino alle soglie di Castel Sant'Angelo; e poi indietro fino al Circo Massimo dove vedevo sul grande schermo il papa nostro di adesso, officiare contro il vento che sfogliava le pagine del Vangelo. Roma era l'Eden; un giardino di silenzio. Era vuota ma non perché erano scappati tutti, bensì perché tutti se ne stavano concentrati e trasparenti al punto da permettere di pregare anche a chi se ne era dimenticato da qualche decennio.
Sono giorni che si fanno discorsi terroristici su come Roma non è in grado di sopportare milioni di pellegrini. Sembra che il panico monti a bolla d'aria e schiacci il nostro grande Karol. Ma ragazzi, diamoci una calmata; ma ragazzi, prendiamoci una trentina di camomille. E' il giorno della beatificazione non solo di un grande Papa, ma anche di un grande Uomo. Voglio dire: anche se ci sono le buche per le strade, anche se qualche semaforo si incepperà, anche se qualche pellegrino gracile di nervi e ipoclicemico avrà un malore, qual è il problema? Ragazzi: c'è la beatificazione di Karol Wojtyla, Colui che a preso a calci il Muro di Berlino, quell'Uomo che ha perdonato il suo pistolettatore, quel Signore che spingeva la colombella bianca a fuggire dalla finestra dello studio quando, Lui, poverino, accettava di mostrarsi stracco e malato come il più dolce e temerario dei nonni avuti.
Però le lamentale sono andate avanti come se accadesse un fattarello da niente, come se il nostro evento fosse inferiore alle nozze di Will e Kate. Ma ragazzi, il Papa di Roma è il papa di Roma! Stiamo un attimo zitti. Facciamo il nostro dovere. Onoriamo Egli. E se qualche cosina non è berfettamente english, chi se ne frega. Mica festeggiamo una monarchia pop (con tanto rispetto); noi festeggiamo anche il ricordo di Colui che è stato un personaggio vicino alla Croce e tosto quanto il legno della Croce.
Mentre ascoltavo il mio tassinaro che si lagnava, ho saputo in diretta telefonica che mia zia Antoniatta, chiamata da tutti Anna, che ha ottantasette anni ma ne dimostra cinquanta come le dive di un tempo, era stata ricoverata per la necessità di impiantarle un pacemaker. Allora ho deciso di andarla a trovare a Villa Mafalda, in via delle Gioie proprio oggi. Oggi che Roma è calma e bella. Oggi che è giorno di festa.
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