LO SCRITTORE SUL TETTO CHE SCOTTA

Ah, les Americains. Drammaturghi inaccettabili che infarciscono gli intrecci di incesto, castrazione, cannibalismo, omosessualità. Impossibili da mettere in scena per una compagnia che si rispetti, una compagnia di vera tradizione. E quel modo distorto di vedere il sesso, la mancanza di giusto tono borghese, l’assenza del perfetto tono aristocratico. Sarà per questo che la Comédie Française li tiene a debita distanza da 330 anni: mai un autore d’Oltreoceano è stato rappresentato alla Salle Richelieu, figuriamoci entrare in repertorio.
Perché gli americani sono scrittori così spudorati da infilare in una pièce teatrale messaggi trasversali per la propria famiglia e per il proprio Paese. Prendi Tennessee Williams, ad esempio. E prendi uno dei suoi drammi più popolari, come Improvvisamente l’estate scorsa. C’è quella Catherine, così smaniosa, così inopportuna. Pretenderebbe, con le sue allucinazioni, di rivelare le verità più nascoste di suo cugino Sebastian, poeta, omosessuale e fragilissimo, di vetro proprio come la Laura dello Zoo, morto in circostanze misteriose appunto l’estate precedente. Le verità di Sebastian sono le verità impronunciabili di una famiglia. E che famiglia, quella della spietata matriarca Violet Venable, protetta dalla vegetazione lussureggiante della grande villa del Garden District di New Orleans. Non soltanto facoltosi, ma avvezzi a procurarsi, grazie al denaro, un mondo infrangibile, inattaccabile da qualsiasi bruttura, paralizzato in un tempo altro. Il che poi, essendo davvero ricchi, nel Sud degli Stati Uniti nel 1936, anno in cui è ambientata la commedia, non era poi così difficile.
Fatto sta che la lobotomia, la punizione prevista da Violet per Catherine, era di brutale attualità proprio trent’anni dopo, quando nel 1958 Williams fece debuttare la pièce nell’off-Broadway. Lobotomizzata fu Rosemary, di cognome Kennedy, sorella di John e Robert, nel 1941, per certe propensioni al sesso troppo facile, fino alla ninfomania, cosa impossibile da considerarsi soltanto un «problemino», trattandosi di una donna: sicché il padre la volle automa, all’insaputa del resto della famiglia. Lobotomizzata fu Rose, la sorella di Tennessee, giovanissima, per volontà della madre del drammaturgo: perse ogni facoltà intellettiva autonoma, ogni emotività e desiderio e fu rinchiusa in ospedale psichiatrico fino alla morte a 96 anni. Eppure, l’autore di Un tram chiamato desiderio, La rosa tatuata, La gatta sul tetto che scotta, l’uomo che ha regalato a Broadway e a Hollywood alcune tra le più lancinanti figure femminili che finzione comprenda, nato a Columbus, Mississipi, scomparso a New York nel 1983, non riuscì mai ad odiarla, sua madre. Forse perché ne aveva abbastanza del padre, commesso viaggiatore autoritario e maschilista.
Da Improvvisamente l’estate scorsa è partito il teatro dell’Elfo a Milano (fino al 29 maggio) per ricordare i cento anni dalla nascita di Thomas Lanier Williams («Un nome che andrebbe bene a uno dei quegli scrittori che dedicano intere serie di sonetti alla primavera», scriveva di sé), «Cent’anni di desiderio», come era intitolato il convegno internazionale dedicato al drammaturgo e appena chiusosi a Narni. La celebrazione dell’Elfo proseguirà con uno studio de La discesa di Orfeo (dal 31 maggio al 2 giugno), inedito per l’Italia, mentre negli Stati Uniti i festival, le riedizioni dei suoi capolavori (pregevole quella dello Zoo di vetro, con introduzione di Toni Kushner, considerato, tra gli altri da Harold Bloom, il più grande autore vivente, attesa per settembre prossimo, ed. New Directions) e le nuove mise en scene abbondano: per Tennessee è al Roundabout Theatre di New York Olympia Dukakis e salirà sul palco Nicole Kidman in autunno con La dolce ala della giovinezza. Strepitosa la mostra della biblioteca della Columbia University, «This Is: Tennessee Williams & Friends» (fino al 1 luglio): documenti, molti dei quali inediti, fotografie, le commedie degli ultimi vent’anni, quelli in cui si abbandonò all’alcool, alle droghe e alle cliniche, ma anche memorabilia come le sue quattro macchine da scrivere, i dipinti (compreso un ritratto a olio della sorella Rose), la sua collezione di chiavi di camere d’albergo e le sue rubriche private.
Ah, les Americains. Tra tutti gli inaccettabili difetti, i loro drammaturghi hanno una qualità: sanno invecchiare splendidamente. A cent’anni, Williams sembra una giovane promessa. Sarà per questo che la Comédie si è decisa a rendergli il massimo onore: il primo americano della storia dell’istituzione mondiale del teatro a entrare in cartellone, e il primo non europeo in repertorio, fino al 2 giugno, con Un tram chiamato desiderio. E per di più con un regista americano, dei più audaci e d’avanguardia, Lee Breuer. E non bastasse, in parte per spiegare il gesto, la Comédie ha dedicato a Tennessee l’intero numero di marzo del suo Nouveau Cahier.

Chissà che ne avrebbe detto quel Tenn dodicenne, che, prima di affidarsi a «quell’avamposto contro un’orda di selvaggi» che era la scrittura, correva come un pazzo per sfuggire alla banda di ragazzini che gli urlava «Sissy» (femminuccia).
Ragazzini, come quelli che correvano dietro a Sebastian, sotto il sole crudo del Mediterraneo, prima della sua morte improvvisa.

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