La scrittrice: «La fiaba nasce dai nostri sogni»

«Amavo Peter Pan, volevo sposarlo e vivere con lui in un mondo irraggiungibile». Gail Carson Levine è newyorkese, ma è cresciuta con il mito creato dallo scozzese James Matthew Barrie. E, ora, ha deciso di scriverne il seguito, raccontato dalla parte delle donne, ovvero le fatine dell'Isola-che-non-c'è.
Come è nata l'idea di Trilli?
«Un giorno, tre dirigenti della Disney mi hanno invitata a pranzo, e mi hanno raccontato del loro progetto di una serie di libri dedicati alle fate dell'Isola: volevano che io scrivessi il primo, per creare l'ambientazione e i personaggi di questo mondo».
E lei ha accettato subito. Perché?
«Peter Pan era il mio libro preferito: da piccola amavo Peter, volevo sposarlo, desideravo, come lui, avere la polvere magica per volare; e, soprattutto, ho sempre pensato che Wendy sia stata davvero una stupida ad abbandonare l'Isola».
Che cosa c'è di diverso nel suo libro?
«Nell'Isola il terrore è limitato; io ci ho messo un po' più di avventura. E poi non ci sono umani: le eroine sono soltanto le fate».
La protagonista è Trilli. Come mai?
«È la fata più famosa: è coraggiosa, non indietreggia di fronte a nulla. E poi è terribilmente gelosa: nell'originale cerca persino di uccidere Wendy, pur di tenerla lontano dal suo amato Peter. Parla poco della sua sofferenza, perché fa la dura: riesce a confessare il suo dolore solo a Mamma Colomba»
Anche Mamma Colomba è un personaggio nuovo.
«È vero, e l'idea è nata quasi per caso. Stavo guardando alcune illustrazioni preparate dai disegnatori della Disney, e la mia attenzione è stata catturata da una colomba, che aveva fatto parte di Bambi. Così ho pensato di dare una specie di genitore alle fate, che sono orfane».
Le sue fate non sono molto potenti, ma ciascuna ha un talento. Che cos'è?
«È una abilità tutta speciale. Alcuni talenti sono "minimi", come riparare le pentole (il compito di Trilli, ndr), altri più complessi, come quello per gli animali, o per l'acqua. L'importante è che ogni fata impari a conoscere e apprezzare il proprio. Per il resto, anche le fatine sono un po' "goffe", come i bimbi del Mondofermo; anzi, da un certo punto di vista, sono ancora più deboli, perché, a causa delle ali, non possono nuotare.

Tanto che Rani decide di farsele tagliare per poter raggiungere le sirene. È un grosso sacrificio, molti bambini ne sono rimasti colpiti: ma il taglio non fa male. E così Rani può anche realizzare il suo sogno: immergersi nell'acqua del mare».

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