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Scrive poesie sui muri delle città e piace persino a Sgarbi

È un artista-imprenditore: dipinge, organizza mostre e realizza progetti creativi per gruppi come Eni, Mondadori e Sony

Scrive poesie sui muri delle città e piace persino a Sgarbi

«C i sono vite che capitano e vite da capitano». Ivan Tresoldi, 37 anni, autore di questo e molti altri versi, gioca a fare il mozzo ma è ormai un capitano dell'arte urbana. Poesia, si chiama il suo pallino. La dipinge sui muri, la interpreta nelle scuole e nelle università, l'ha fatta entrare nelle carceri. Un giocoliere delle parole che le parole ha trasformato in impresa. «Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo». Poeta-imprenditore, ché messa così sembra un ossimoro. Ma non lo è. Perché per rompere il confine «tra la poesia che si è rinchiusa nella torre e la poesia per tutti» - come la chiama lui - Ivan ha preso vernice e pennello e si è fatto prima poeta di strada e poi imprenditore di versi.

Tutto comincia nel 2002 con i muri del suo quartiere, Barona, Milano. Ivan si mette al timone di un'arte antica. Volantini appesi e tanti versi a risvegliare i passanti dal torpore della periferia. «Perché i muri sono di tutti, di chi scrive e di chi legge. Le donne della Rivoluzione francese tornano da Versailles e scrivono lungo le strade. Il fascismo ci ha lasciato: credere, obbedire, combattere. I risorgimentali Verdi (Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia) e i leghisti Padania Libera. Pubblicare significa rendersi pubblici, non necessariamente stampare un libro».

Dopo i volantini, per Ivan arrivano le «scaglie». Frammenti di poesia. Componimenti brevi, dipinti sui muri, tracciati sulle saracinesche o sulle barriere spartitraffico delle città. A volte in stampatello maiuscolo («quando voglio arrivare a tutti»), altre in un carattere meno leggibile ma più artistico che è diventato la sua cifra.

Figlio di un impiegato e di un'insegnante, una laurea sfiorata in Sociologia, alla fine ivan («scritto minuscolo, perché ivan siamo tutti») sogna e realizza un'impresa fondata sull'arte della parola. «Se facessi solo il poeta e l'artista mi sentirei di aver rinunciato alla costruzione della società. Imprenditore è una parola importante». Perciò nel 2015 nasce ArtKademy, la sua «officina creativa», il suo «regno» in via Bussola, tra i Navigli e la Barona. Un esempio di come poesia, parole e arte murare il volto delle città, riqualificare le periferie, dare colore e anima alle scuole, arrivare a uno scopo sociale anche quando di mezzo ci sono aziende concentrate su un obiettivo pubblicitario.

Con il suo gruppo, cinque soci, un collettivo di artisti quotati sulle piazze internazionali e un direttore creativo, Simone Pallotta, che come lui è un idealista con i piedi ben piantati per terra, Ivan sviluppa progetti di arte pubblica, organizza mostre ed eventi, svolge consulenze artistiche per grandi aziende. Committenti di ogni genere. Pubblici e privati, compresi Unipol, Eni e Mondadori. La facciata della sede della Sony è sua, per la Sprite ha appena curato un progetto di riqualificazione urbana. E poi carceri, scuole e università. L'anno prossimo farà lezione al Dartmouth College, Stati Uniti.

Nel frattempo viaggia al ritmo di dieci mostre l'anno, oltre 250 in tutto fra personali e collettive e più di 300 assalti poetici in strada, dall'Europa agli Stati Uniti, dal Medio Oriente al Sudamerica. E poi eventi, conferenze, spettacoli, progetti legati al sociale, in collaborazione con la Caritas o i missionari laici del Celim. Iniziative realizzate con un team di professionisti dell'arte e della cultura. È la sua imprenditoria creativa. Ivan cerca luoghi, non superfici, per realizzare i suoi progetti è finito in Kosovo e nei campi profughi dei bimbi siriani in Libano. Laboratori sulla parola, che può curare anche le ferite della guerra.

A chi gli ha offerto di lasciare l'Italia per trapiantare la sua azienda all'estero, ha detto di no. Considera importante lavorare sul suo territorio. Non c'è capoluogo dove non abbia lasciato una traccia. Da Ferrara a Bari, da Venezia a Palermo. Vernice, pennello e parole, come appare nel video di Roberto Vecchioni, Ti insegnerò a volare. Perciò si è inventato «La Pagina bianca», evento con cui ha conquistato mezza Italia. Un enorme telo steso nelle piazze dello stivale, per dare a tutti la possibilità di dipingere e lasciare una traccia. «È un modo di esaltare la diversità. Le opere hanno un valore se dedicate alla costruzione della società e alla critica».

Capelli lunghi, abiti macchiati di vernice, Ivan è un'artista trasversale o «libertario», come ama definirsi lui. «Non mi considero né di destra né di sinistra. Mi interessano i percorsi, non le categorie». Non è un caso che abbia lavorato con amministrazioni di ogni colore, con Sgarbi al Pac per Street Art, Sweet Art, a Rozzano per il monumento alla memoria dei partigiani. Ma non chiamatelo street artist. Non chiamatelo writer. Gli basta «poeta», come sulla sua carta d'identità. Poeta di strada. Poeta d'assalto. «Le parole sono importanti. E io non so disegnare. Mi occupo di produzione di senso, non di figurazione».

Per un verso dipinto su un muro senza autorizzazione è finito sotto processo a Milano, si è autodenunciato per altre azioni improvvisate, ma è stato condannato per imbrattamento. Perché oltre ai lavori su commissione, Ivan non smette di dipingere versi in libertà, facendosi prendere dalla frenesia di qualche «assalto poetico», che lui considera legittimo, anche se non formalmente autorizzato. «Scrivere su un muro è diventato un reato, per cui si procede d'ufficio, cosa che non succede per i femminicidi, pensate al paradosso». Per difenderlo sono intervenuti in centinaia, da Moni Ovadia a Caparezza. Perché Ivan non deturpa, semmai ridà vita e valore ai luoghi. Fa risorgere i quartieri abbandonati, restituisce un'anima a quelli dimenticati, semina parole e colore dove manca il decoro, anche nel senso di una voce fuori dal coro. Perciò di quel processo ha fatto una battaglia culturale, un manifesto della poesia di strada, una denuncia contro «lo spazio pubblico che è diventato una somma di spazi privati» e contro «l'incoerenza delle istituzioni nella gestione delle politiche sull'arte murale».

«Non lavoro in clandestinità, firmo sempre le mie opere e uso vernice ad acqua, che sparisce nel tempo. Non mi interessa che la scaglia resti sul muro, ma l'invisibile che nasce da quella vernice sul muro». Lo ha spiegato ai giudici, dopo aver rifiutato per principio il patteggiamento. E lo ha fatto citando Hegel: «Tesi, antitesi, sintesi. È la dialettica che porta al superamento dei conflitti. Interloquisco sempre con gli abitanti del luogo, con cui abbiamo un confronto e una risoluzione. Se lascio qualche scheggia, lo faccio con il via libera della comunità». Quando a Milano il servizio antigraffiti fa sparire dalla Darsena la sua celebre «Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo», gli abitanti del quartiere gli scrivono: «Vieni a rifarla». Succede così.

«Una città si disegna nei suoi confini ma si esprime oltre i suoi limiti», per dirla alla Ivan.

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