Scrivere la solita «Sex Revolution»

Una cavalcata erotica che va da Abbe Lane alla Valentina di Guido Crepax, ovviamente passando per Brigitte Bardot...

Scrivere la solita «Sex Revolution»

Giampiero Mughini ama pretendere che i suoi libri siano letti sino all’ultimo rigo perlomeno dai suoi recensori: ciò che appartiene a una generazione giornalistica che probabilmente giudica paradossale anche il doverlo precisare. Ha ragione, anche se nel dirlo abbiamo già dovuto scomodare la solita e maledetta parola: generazione. La sua generazione. La loro generazione. Soprattutto la solita generazione, quella che il generazionista Giampiero Mughini non fa che descrivere ogni volta da un angolatura diversa, e sta benissimo, basta che lo faccia bene e che scriva altrettanto. E lo fa, niente da dire: ma non è detto che interessi sempre.
Questo suo ultimo libro è titolato Sex revolution. Muse, eroi, tragedie di un’avventura che ha cambiato il mondo (Mondadori, pagg. 229, euro 17.50) e per esempio a me interessa poco, ma ne scrivo lo stesso, perché questa inciviltà di recensire i libri usandoli come pretesto per dire la propria, in fondo, appartiene non tanto a una generazione che è la mia, ma a quella sulfurea leggerezza di un certo pseudo-giornalismo moderno e contaminato che è anche dannatamente suo, di Mughini: il quale, se non proprio corresponsabile, è quantomeno connivente.
Mughini è persona vera, tutta d’un pezzo, corretta, fedele alla parola data, gentiluomo, umile o altezzoso secondo giustificata modulazione, più giovane e curioso di tanti trentenni, più colto e interdisciplinare di tanti «nientologi» da strapazzo: e infatti il dramma di Mughini, ciò per cui si può amarlo profondamente, è che è tutto vero.
Vero l’estetismo, veri quegli occhiali e quelle giacche, vera la sua indipendenza morale dell’indossare la propria icona in cui si riflette ma non autoriflette: in parole poverissime, Mughini si piace così, se ne frega delle conseguenze, se ne frega se qualcuno dovesse chiedersi se è gay, se ne frega se qualcuno dovesse definirlo «giornalista sportivo» senza conoscere il suo retroterra e la sua biblioteca e il suo maledetto divano di Magistretti, se ne frega in generale, e fa bene. Non è da tutti, serve forza e capacità di solitudine, occorre saperne pagare il prezzo.
E il prezzo, per dire, può essere un articolo come questo, o che un amico come Giuliano Ferrara recensisca il suo Sex revolution senza averlo palesemente letto (sul Foglio) e lo usi come compiacente trampolino per parlare d’altro, di San Paolo e di Madame Bovary, di un sesso che ha perso la sua aura casta a peccaminosa per divenire ridicolo, sempre meno efficace rispetto allo scopo che secondo Ferrara resta quello di far figli in giovane età, punto.
Il prezzo può essere il doversi sorbire una puntata di Ottoemezzo su La7 come quella di venerdì scorso, dove si doveva parlare del libro e, invece, ciascuno parlava del proprio cortiletto, della propria palazzina anziché per esempio di Abbe Lane, la soubrette che quarant’anni fa veniva cacciata dalla Rai per avere mosso un tantino i fianchi mentre ballava.
Il libro di Mughini parlerebbe di questo: del percorso che il senso del pudore ha compiuto lungo gli anni e i luoghi della New York di Andy Warhol, o la Parigi delle seicento copie di Histoire d’O, o la Milano della Valentina di Guido Crepax in realtà ispirata alla mitica Louis Brooks di Pandora’s Box (1928) e che forse resta la prima icona erotica del Novecento. Mughini transita ovviamente per Brigitte Bardot (suo idolo) e per le muse di Helmut Newton, il bacino di Elvis, un sacco di altra roba che forse già immaginate.
Persino il fronte del porno californiano, e qui gli tiriamo un colpo basso: «Su un mobile del soggiorno, lì dove avrebbero potuto essere dei libri, tengo una minuscola collezione di video porno, di cui nessuno degli ospiti chiede mai nulla. Fanno finta di non vederli o di non interessarsene»; «Tutti guardano o vorrebbero guardare i video porno, nessuno ne parla. Non c’è mia amica alla quale li abbia mostrati che non ne sia andata in brodo di giuggiole. Niente, l’argomento resta tabù. Non c’è un giornale che ospiti una rubrica di recensioni di questi prodotti, e non si vede perché un video porno girato e interpretato da Rocco Siffredi dovrebbe essere culturalmente meno rilevante di un libro tanto celebrato quanto noiosissimo come La vita sessuale di Catherine M., la cui sola forza sta nell’essere stato scritto da un’intellettuale parigina addentro al mondo dei salotti e dei giornali». Abbiamo barato, perché la parte che avete appena letto in realtà compare alle pagine 41 e 42 di La mia generazione. Le idee, i personaggi, i sogni di una casa a Trinità dei Pellegrini (Mondadori 2002) che è libro di Mughini che viceversa giudico di grande interesse e rara bellezza.
In questo, invece, in Sex Revolution, Mughini cita ancora una volta i suoi anni Settanta ma declinandoli in chiave di rivoluzione sessuale, giacché proprio in quel periodo (tu guarda) egli ritiene che l’immaginazione sessuale abbia preso veramente il potere, e la pillola anticoncezionale, più della classe operaia, abbia cambiato il mondo.
Può essere, ma è difficile scansare l’impressione che non si tratti dell’ennesima opportunità per ripeterlo ancora una volta: formidabili quegli anni.

Dopo di che (tu guarda) il diluvio, Mughini-Fukuyama intravede la fine del sesso, dell’eros, quindi mercificazioni di bassa lega, sciacquette e «telesquinzie», giovani generazioni infelici che copulano come automi, e può essere anche questo. Oppure, senza scomodare Herbert Spencer, può essere che Mughini sia nato nel 1941 e anche la sua giovinezza mentale, detto senza la minima ironia, abbia una dannata e legittima voglia di chiudersi in casa.

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