Scrivi come mangi Una tavola tutta da raccontare

In apparenza spiazzante, ma in fondo tautologico come pochi altri mai, l'assunto di Ludwig Feuerbach secondo il quale noi «siamo ciò che mangiamo» fa della propria autoevidenza un motivo di fascino senza tempo. Forse perché affronta una delle ossessioni eterne dell'uomo, il cibo. Che si tratti del sacrosanto pane quotidiano o di alimenti più ricercati e peccaminosi, il cibo ci ricorda, in fondo, il nostro essere creature fatte di carne, di corpo, schiave di una fisicità che presto o tardi presenta il suo conto. Ma ecco che il filosofo, grazie alla forza della propria riflessione, riconosce fra le righe che siamo esseri razionali, che sappiamo pensarci sopra, che abbiamo dalla nostra una consapevolezza in grado di distinguerci dalle fiere chine su un pascolo o protese alla gola della preda. È l'eterno dissidio dell'uomo: il cibo, un po' come il sesso, sta in equilibrio precario sul crinale della nostra ferinità, e raccontare il cibo è parlare di noi stessi e delle nostre contraddizioni. Ma si può andare oltre: il gusto è metafora della vita e delle sue infinite sfumature, spesso inattese, dolci e amare. A ricordarlo ai milanesi è il progetto «Tell the Food, tell the Life. Narrare la vita attraverso il cibo», che proprio stamane viene presentato in Triennale da Davide Rampello, presidente della Triennale, e Lucio Stanca, AD Expo Milano 2015, con la partecipazione degli scrittori Luca Doninelli, Antonio Scurati, Nanni Balestrini. La rassegna, che parte in maggio per proseguire fino al 2015, si propone di ripercorrere il tema dell'alimentazione attraverso lo strumento della narrazione letteraria e teatrale. Spiega Rampello: «Parte con questa iniziativa un ambizioso progetto: raccontare storie di uomini, narrare la vita attraverso il cibo. Inizieremo a raccontare storie di Milano, della Lombardia e di tutta Italia. Poi inviteremo scrittori, narratori da tutto il mondo a raccontare le loro storie, per avviare un processo di conoscenza reciproca». L'idea nasce dall'impegno congiunto di Triennale e Expo 2015. «Il progetto -ha dichiarato Stanca-, in cui intellettuali e autori sono chiamati a scrivere racconti sul tema del cibo, è un esempio concreto di committenza culturale virtuosa». Fra gli obiettivi dell'iniziativa: realizzare un saggio storico sui luoghi del cibo a Milano attraverso il rapporto città-campagna nell'era medievale (i Navigli come vie di cibo, il Parco Sud Milano, i mercati di città), e coinvolgere un gruppo di studenti di scrittura creativa nella realizzazione di testi legati al cibo e alla nostra città. Si prevede anche di sviluppare un nuovo momento di riflessione teatrale attraverso i testi degli autori, produrre un festival teatrale, realizzare videodocumentari e radiodrammi. Da sempre la letteratura si confronta col cibo, che nei secoli e nelle opere ha rivestito ruoli diversi, spesso antitetici. Per gli avvinazzati dei carmina burana il mangiare (e il bere) erano una sorta di liberazione dagli affanni quotidiani. Cibo, vita e denaro sono spesso legati in un abbraccio inestricabile: nel Satyricon di Petronio la cena di Trimalcione, ricca e raffinata fino al parossismo, diventa uno status symbol. Si apre così un filone di grande successo, che tocca indifferentemente epoche, latitudini e sensibilità diverse: da Rabelais a Parini, da Boccaccio a Karen Blixen, autrice de Il pranzo di Babette. Non di rado il cibo assume un valore ancora più profondo, esistenziale. Senza scomodare i golosi danteschi, come dimenticare la celebre madeleine di Proust, primo motore della Recherche? Lì era il sapore del piccolo dolce a squarciare il velo dell'oblio tessendo la rete dei ricordi, ad assumere un ruolo di guida, luce per la memoria, spinta irrinunciabile alla creazione artistica, che da sola basta a motivare l'intera esistenza del protagonista Marcel, alter ego dell'autore.

Anche secondo lord Byron, del resto, nel rapporto con il cibo l'uomo si gioca carte importanti per il proprio star bene. «Tutta la storia umana - scrisse con ironia composta e dissacrante- attesta che la felicità dell'uomo, peccatore affamato, da quando Eva mangiò il pomo, dipende molto dal pranzo».

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