Lo scrutinio elettronico vanificato dagli errori L’inspiegabile divario tra exit-poll e risultati

Milano. La girandola di imprecisioni e sbavature nelle operazioni elettorali comprende anche una galassia di errori e stranezze che testimoniano la scarsa limpidezza del voto. Tanto per cominciare, c’è il nodo dello scrutinio elettronico, introdotto dall’allora ministro per l’Innovazione e le tecnologie Lucio Stanca in 5 regioni su 20. In origine deve essere realizzato a titolo sperimentale da funzionari affiancati ai seggi; nella realtà non è possibile nella stragrande maggioranza dei casi, poiché i titolari dei seggi procedono allo scrutinio cartaceo ignorando la procedura indicata dal Viminale. E procedure errate portano spesso a errati risultati. In seconda battuta, le politiche del 2006 passano alla storia come la disfatta delle società statistiche: mai nella storia della Repubblica si era avuto un errore di oltre 5 punti percentuali negli exit poll, tra l’altro uniforme su tutto il territorio nazionale. Stesso discorso per i sondaggi: un errore del genere (incentrato soprattutto sui risultati di Forza Italia) non si era mai verificato in nessun Paese occidentale. E ancora lo scrutinio conclusosi dopo 12 ore (come nel 2001 con l’election day voluto dall’allora ministro dell’Interno Enzo Bianco), l’interruzione della comunicazioni dei dati, il ritardo e la confusione sul dato della percentuale di votanti, il pasticcio sul numero delle schede contestate.

E soprattutto l’inspiegabile crollo delle schede bianche, passate dal 4,2% all’1,1% (quasi un quarto). Un dato singolare, anche perché senza riscontri nelle precedenti e successive tornate elettorali, in cui il dato delle bianche è tornato nella media.

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