Scuola, le accuse della sinistra? Vecchie e stantie

Egidio Sterpa

Eccola, finalmente, la riforma della scuola media superiore. Il Consiglio dei ministri venerdì scorso ha approvato il relativo decreto delegato, il quarto del progetto Moratti, che fissa l’architettura della riforma. Non siamo però all’ultimo atto, perché ci sono ancora da superare passaggi non facili: il confronto con la Conferenza Stato-Regioni (il più scabroso), l’esame del Parlamento, dove oltre all’ostilità dell’opposizione non mancano obiettori nella stessa maggioranza, infine una finale lettura del Consiglio dei ministri.
Insomma, il gatto non è ancora nel sacco. D’altra parte, occorre riconoscere che sono tutt’altro che superflui ulteriori accertamenti, perché questa riforma contiene questioni delicate e assai complesse. Non si può insomma pretendere di approvarla in assoluto silenzio e a scatola chiusa.
Intendiamoci, altrettanto e più grave errore sarebbe rifiutarla. Occorre ancora discuterla, questo sì, ma farla decadere sarebbe imperdonabile. Sono esattamente 43 anni che la si attende, da quel 1963 che vide l’approvazione della scuola media unica, quasi mezzo secolo, il che è sicuramente un tempo troppo lungo. Diciamolo: arriva in ritardo.
In tutti questi anni i tentativi di varare un riforma nella media superiore non sono stati pochi, tutti finiti nel nulla soprattutto a causa di quel pessimo disegno tracciato in un famoso convegno di Frascati. Disegno sbagliato perché si prefiggeva non la correzione ma addirittura l’azzeramento della scuola tradizionale, in odio soprattutto alla scuola gentiliana. Furono il populismo e l’ideologismo della sinistra a determinare l’insuccesso di quel processo, unilaterale negli scopi e inadeguato a realizzare innovazioni certamente necessarie. L’ultimo tentativo di varare un suo progetto la sinistra lo fece nel 2000, finito però al macero per la sconfitta del 2001.
Ragioniamoci senza retorica su questa riforma che porta il nome Moratti. Sappiamo bene le origini che essa ha: viene dalle enunciazioni di un professore bresciano intrecciatesi con una visione aziendalistica della scuola. Ma questo ora conta poco, perché ormai la riforma è sulla pista di decollo. Entro l’anno, se tutto andrà secondo i desideri del ministro, la legge apparirà sulla Gazzetta ufficiale, per entrare gradualmente in vigore a partire dall’anno scolastico 2006-’07, sino a stabilirsi in regime nel 2010.
È una scommessa questa licealizzazione, una partita complessa, come è stato detto da osservatori intelligenti e obiettivi. Sì, una scommessa perché otto licei con tanti indirizzi diversi (ce ne saranno almeno una decina, se non di più; si va dal classico al musicale) determinano un affollamento in cui non sarà facile scegliere efficacemente. Si aggiungono poi gli istituti di istruzione e formazione professionale, sui quali le Regioni reclamano competenza e giurisdizione. Sicché ne vengono due canali distinti, che potrebbero determinare una esiziale rottura al carattere nazionale dell’istruzione.
La sinistra imputa a questa riforma di realizzare una scuola di classe con diseguaglianze e differenze culturali. Vecchia e stantia accusa, oggi soprattutto senza senso. Se ci sono difetti, sono ben altri. Ne indichiamo due visibili ad occhio nudo. Il primo: è senza dubbio prematura la scelta che si impone a ragazzi quattordicenni provenienti dalle medie. Un secondo: il depotenziamento del liceo classico, nel quale viene addirittura indebolito persino lo studio di materie scientifiche. A questo proposito non andrebbe dimenticato l’intelligente equilibrio tra materie umanistiche e materie scientifiche che la riforma Gentile seppe realizzare.

E per ora - lo diciamo nel latino ciceroniano del nostro liceo - de hoc satis.

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