Scuola, allarme Ocse: l'Italia paga poco i prof Meno laureati del Cile

L’Italia investe più della media Ocse nelle elementari ma perde terreno nelle secondarie e finisce nelle retrovie per le spese in licei e università. La scuola cambia: dì la tua sul blog

Scuola, allarme Ocse: 
l'Italia paga poco i prof 
Meno laureati del Cile

Parigi - L’Italia investe più della media Ocse negli alunni delle elementari ma perde poi terreno a livello di studi secondari e finisce nelle retrovie per le spese in licei e università. Alla boa dei 15 anni, gli studenti italiani si ritrovano così svantaggiati rispetto ai pari-età Ocse soprattutto nelle materie scientifiche e il loro rendimento misurato dall’indice Pisa. E' nettamente inferiore alle media Ocse a 475 punti contro i 500 della media e i 563 dei primi della classe, i finlandesi. Sono queste alcune delle conclusioni del rapporto sulla scuola pubblicato oggi a Parigi dall’Ocse.

Insegnanti poco pagati Molti insegnanti ma con stipendi bassi. Il documento Ocse evidenzia come sul fronte dell’università permangano i difetti storici: altissimo tasso d’abbandono - primo tra i paesi Ocse - e indici di spesa per studente universitario di molto al di sotto della media Ocse, circa un quarto. I soldi investiti sono molti, ma spesi male. "Nel settore dell’istruzione secondaria l’Italia spende molto denaro. Paga però molti professori dando loro uno stipendio molto basso", ha detto Andreas Schleicher, responsabile delle ricerche sull’istruzione dell’Ocse. "La spesa - ha aggiunto - non è il difetto principale dell’Italia". Che anzi, per la scuola primaria investe più risorse della media Ocse - 6.835 dlr per alunno contro 6.252 - mentre per la scuola secondaria è in linea con la spesa Ocse - 7.648 dlr contro 7.804. Il vero problema è, invece, "come vengono spesi" i fondi elargiti dallo Stato. Situazione ben diversa invece all’università, dove in media i paesi Ocse spendono 11.512 dollari per ogni studente mentre l’Italia ne investe solo 8.026. E se oggi solo il 19% dei 25-34enni italiani possono vantare una laurea - contro il 33% della media Ocse - dall’altro il tasso di laurea dei nuovi studenti è passato dal 17% del 2000 al 39% del 2006.

Meno laureati che in Cile Italia maglia nera dell’Ocse per l’educazione terziaria. In fatto di laureati e specializzati il Belpaese si colloca al di sotto della media di Cile e Messico, in una classifica impietosa che lo vede fanalino di coda insieme a Brasile, Turchia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Cifre alla mano in Italia solo il 17% della popolazione tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea, percentuale che scende al 9% se si prende in considerazione la fascia di età tra i 55 e i 64 anni. Nell’Ocse invece l’educazione terziaria riguarda il 33% dei giovani tra i 25 e i 34 anni e il 19% dei più anziani. In cima alla classifica dell’organizzazione parigina relativa alla popolazione che ha ottenuto un livello di educazione terziaria e relativa al 2006 eccellono invece per livello di istruzione paesi come la Federazione russa e il Canada, con oltre il 55% di laureati. L’Ocse comunque ammette comunque che in Italia il miglioramento c’è stato grazie soprattutto alle "lauree brevi" introdotte con la riforma del 2002. "L’Italia - si legge nel rapporto - ha raddoppiato il numero dei suoi laureati di 'fascia A' tra il 2000 e il 2006 portandoli dal 19 al 39%. Il Paese resta ancora lontano però dai programmi di formazione più avanzati, quali di 'fascia B' che, scrivono gli esperti, »non fanno neanche parte del sistema educativo superiore". L’Italia inoltre resta uno dei paesi con il tasso più bassi di studenti che completano il ciclo di studi terziario, pari al 45% contro il 69% dell’area Ocse e resta anche, visto da fuori, uno dei Paesi dal sistema educativo meno ’attraentè: la quota di studenti stranieri è del solo 2% contro il 20% degli usa, l’11% della Gran Bretagna, il 9% della Germania, l’8% della Francia e, addirittura, il 4% del Giappone. L’istruzione terziaria poi rappresenta ancora per l’Italia un settore di scarsi investimenti rispetto agli altri paesi industrializzati. A fronte di una spesa superiore alla media per quanto riguarda gli asili nido e le scuole materne infatti l’ago della bilancia si sposta vorticosamente verso il basso quando si parla di investimenti in università e ricerca. A livello terziario l’Italia spende mediamente per studente 8.026 dollari l’anno contro una media Ocse di 11.512 dollari. Il confronto si ribalta se si parla di spesa per i bambini in età prescolare per cui la cifra, pari a 6139 dollari a bambino, supera quella media dell’area, pari 4888 dollari. Complessivamente l’Italia risulta nelle fila dei paesi che spende meno in istruzione: la quota di spesa pubblica devoluta nell’educazione è salita al 9,3% nel 2005 (contro il 9% del 2000) ma resta sempre al di sotto della spesa media degli altri paesi Ocse pari all’13,2%.

La Gelmini: organizzazione e spesa non al passo con i tempi
"Per troppo tempo non abbiamo ammodernato la scuola: il suo sistema organizzativo e quello di spesa non sono al passo con i tempi". È quanto ribadisce il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini in collegamento diretto con la trasmissione di Raidue, "Italia allo specchio". "Eppure, per la scuola, spendiamo molto, circa 43 miliardi di euro perfettamente in linea con la media europea. La scuola non migliora spendendo più soldi, ma spendendoli meglio e valorizzando gli insegnanti, ripartendo da un grande progetto educativo". Per la Gelmini, "una scuola che funzioni deve saper dare il giusto spazio e il giusto riconoscimento agli insegnanti. La perdita di autorevolezza dei docenti è una responsabilità di tutti noi, di una società, che non riconosce più nell’insegnamento una missione. L’appiattimento è una realtà, sia con il buonismo verso gli studenti sia non prevedendo una valutazione e una carriera per gli insegnanti, che ora avanzano solo per l’anzianità e non per i risultati conseguiti.

C’è la necessità di cambiare, di voltare pagina. il Parlamento dovrà modificare le modalità per il loro reclutamento e prevedere una carriera, trovando anche le risorse per pagare meglio i docenti, adeguandone gli stipendi".

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