Scuola araba, i libri si vendono in via Quaranta

Gianandrea Zagato

Yasha Reibman spera che «la scuola araba di via Ventura non si trasformi in una fucina di fondamentalismo» ma «rispetti le leggi, tutte le leggi dello Stato». Attesa di chi è ben consapevole della «ricchezza aggiunta dalle scuole straniere» alla scuola pubblica italiana e, in particolare, a quella milanese.
Ma l’aspettativa del vicepresidente della comunità ebraica è probabilmente mal riposta: nel negozio dell’ex madrassa di via Quaranta - chiusa anche per motivi igienico-sanitari - sono infatti reperibili insieme a volumetti di sure del Corano i libri di testo esclusivamente in arabo che saranno utilizzati nella nuova struttura di via Ventura. Libri non previsti dai programmi e acquistati da genitori che hanno un solo obiettivo: impartire un’istruzione musulmana ai propri figli. Conditio sine qua non che impedirebbe il rispetto del programma di studi delle scuole italiane e non «incentiverebbe la conoscenza della lingua italiana, delle leggi del nostro Paese e il rispetto dei diritti umani» fa sapere il coordinatore regionale di An, Cristiana Muscardini.

Come dire: si ripeterebbe all’infinito quel microcosmo casa-moschea-casa che gli imam imponevano ai cinquecento studenti di via Quaranta.
Meccanismo che crea «una generazione chiusa in un’identità protetta» annota lo scrittore iracheno Younis Tawfik, membro della consulta per l’islam: «Esperienze di questo tipo non aiutano l’integrazione».

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